ProgrammaEconomicoVeneto02
Da Ortosociale.
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===In sintesi=== | ===In sintesi=== | ||
+ | Proponiamo una produzione sociale basata sui bisogni reali dei cittadini e realizzata in piena e totale sinergia, sul territorio e sul piano locale, con le strutture municipali istituzionali, democratiche e partecipate. | ||
====Manutenzione==== | ====Manutenzione==== | ||
- | Appoggiare politicamente i produttori coscienti e consapevoli che lavorano sul modello di business della manutenzione: Beni come commons (beni comuni) e business come MANUTENZIONE. Questo funziona da anni nell'area del Software (Free Software). Si tratta di vendere a prezzi minimi o regalare i beni e vendere a prezzi ragionevoli la manutenzione, la personalizzazione e l'implementazione del bene “regalato” e “mantenuto”. Questo significa creare il ciclo virtuoso di beni che avranno una lunga esistenza. E' interesse del produttore (per vendere la MANUTENZIONE), del consumatore (non cambia il bene e si affeziona e impara a gestirlo al meglio), e dell'ambiente (risparmio massimo di risorse). Questo ciclo virtuoso crea un rapporto reale di conoscenza/uso (teorico/pratico) del bene scambiato e ''comune'' tra produttore e consumatore, ricomponendo tendenzialmente la dicotomia tra produttore e consumatore. Questo già si verifica nel software: i consumatori aiutano, testando il software e segnalando gli errori o proponendo modifiche, i produttori di Software Libero, arrivando a conoscere molto bene ("amandolo") in forma diffusa il prodotto che usano. Questo si verifica già nel caso del beni fai-da-te o di bricolage. | + | Appoggiare politicamente i produttori coscienti e consapevoli che lavorano sul modello di business della manutenzione: Beni come commons (beni comuni) e business come MANUTENZIONE. Questo funziona da anni nell'area del Software (Free Software). Si tratta di vendere a prezzi minimi o regalare i beni e vendere a prezzi ragionevoli la manutenzione, la personalizzazione e l'implementazione del bene “regalato” e “mantenuto”. Questo significa creare il ciclo virtuoso di beni che avranno una lunga esistenza. E' interesse del produttore (per vendere la MANUTENZIONE), del consumatore (non cambia il bene e si affeziona e impara a gestirlo al meglio), e dell'ambiente (risparmio massimo di risorse). Questo ciclo virtuoso crea un rapporto reale di conoscenza/uso (teorico/pratico) del bene scambiato e ''comune'' tra produttore e consumatore, ricomponendo tendenzialmente la dicotomia tra produttore e consumatore. Questo già si verifica nel software: i consumatori aiutano, testando il software e segnalando gli errori o proponendo modifiche, i produttori di Software Libero, arrivando a conoscere molto bene ("amandolo") in forma diffusa il prodotto che usano. Questo si verifica già nel caso del beni fai-da-te o di bricolage. Per una trattazione completa di una ''Produzione sociale basata sui Beni Comuni'' oppure ''Commons Based Peer Production'' vedi: [http://www.benkler.org/ il sito di Yochai Benkler docente alla università di Yale]. |
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====Industrie dismesse o delocalizzate==== | ====Industrie dismesse o delocalizzate==== | ||
- | Questo modello si può applicare da subito agli impianti industriali dismessi o de-localizzati: Si rilevano gli impianti come cooperative sociali dei produttori e si vende il “service” della manutenzione per tutti i beni già venduti e circolanti (localmente o anche worldwide). Per i nuovi prodotti si procede ad una aggressiva politica di marketing, VENDENDO BENI CON UN CICLO DI VITA LUNGHISSIMO e contabilizzando come entrata di business LA MANUTENZIONE. Questo è un nuovo modello di business. Questo potrebbe valere da subito per la FIAT. Le relazioni sociali e di lavoro in queste cooperative industriali sarebbero basate su relazioni neo-claniche di comunità semi-autosufficienti; vedi sotto le | + | Questo modello si può applicare da subito agli impianti industriali dismessi o de-localizzati: Si rilevano gli impianti come cooperative sociali dei produttori e si vende il “service” della manutenzione per tutti i beni già venduti e circolanti (localmente o anche worldwide). Per i nuovi prodotti si procede ad una aggressiva politica di marketing, VENDENDO BENI CON UN CICLO DI VITA LUNGHISSIMO e contabilizzando come entrata di business LA MANUTENZIONE. Questo è un nuovo modello di business. Questo potrebbe valere da subito per la FIAT. Inoltre, come propone Guido Viale, la Fiat potrebbe essere ri-convertita a spese della attuale proprietà per produrre veicoli non inquinanti da usare per il trasporto pubblico e/o microgeneratori non inquinanti per le famiglie. Le relazioni sociali e di lavoro in queste cooperative industriali sarebbero basate su relazioni neo-claniche di comunità semi-autosufficienti; vedi sotto le Cooperative Industriali.<br>Vedi anche l'esempio delle [http://www.giannimina-latinoamerica.it/archivio-notizie/616-fabbriche-recuperate-in-argentina-dieci-anni-e-vanno-avanti Fabbriche Recuperate in Argentina]. |
+ | <br> Vedi anche [http://temi.repubblica.it/micromega-online/per-una-riconversione-ambientale-dellindustria-una-proposta-alla-fiom/ Per una riconversione ecologica dell'industria - la proposta di Guido Viale alla FIOM] | ||
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+ | A proposito di autogestione dei lavoratori e di risultati economico-sociali. | ||
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+ | Fabbriche recuperate in Argentina; dieci anni e vanno avanti | ||
+ | News | ||
+ | Venerdì 05 Novembre 2010 | ||
+ | Sembravano un’anomalia destinata ad essere riassorbita dal modello capitalista. Erano le fabbriche, soprattutto argentine, destinate alla chiusura da imprenditori rapaci pronti a scappare con la cassa al momento del crollo del modello neoliberale nel 2001. Per una breve stagione furono molto di moda anche da noi, soprattutto seguendo il caso della Zanón, una fabbrica di ceramiche che dà lavoro a circa 1.500 persone a Neuquén, oggi felicemente FaSinPat (Fabbrica Senza Padroni). Ma ora che anche qui sta crollando tutto, non sembrano un’opzione percorribile in Italia. Invece a dodici anni di distanza dalla prima fabbrica recuperata, molteplici studi, tra i quali uno di Raúl Zibechi, ci mostra che non solo le fabbriche recuperate non erano una stramba utopia frutto della disperazione ma che, liberandosi dei padroni, danno lavoro e stanno perfino sul mercato. | ||
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+ | Nel maggio del 1998, quando il neoliberismo sembrava scritto dal padreterno nella pietra delle tavole dei dieci comandamenti il recupero dell’IMPA, Industria Metalúrgica y Plástica Argentina, una fabbrica di alluminio, sembrava una stravaganza. | ||
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+ | Gli studi argentini (molte info possono essere rintracciati qui: http://www.recuperadasdoc.com.ar/) mostrano invece numeri straordinariamente interessanti che testimoniano che non solo le imprese recuperate non sono scomparse ma si sono consolidate. | ||
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+ | Ad ottobre del 2010 nel paese ci sono 205 imprese recuperate (nel Novecento si sarebbe detto collettivizzate) che danno lavoro a circa 10.000 lavoratori. Poco più di un lustro fa, nel 2004, quando la loro esperienza era già dimenticata da noi, erano 160, con meno di 7.000 lavoratori impiegati. Nei tre quarti dei casi è stato necessario occupare la fabbrica, quasi sempre con l’aiuto dei lavoratori di altre industrie. Il dato straordinario è che ben il 90% delle imprese che hanno intrapreso la via del recupero da parte dei lavoratori è sopravvissuto, con una mortalità quindi infinitamente inferiore a quella delle imprese gestite da un padrone. In due terzi dei casi, con battaglie legali con tratti spesso epici, hanno ottenuto decreti di esproprio favorevoli, regolarizzando quindi a tutti i fini la loro situazione. Nella metà dei casi le cooperative, a dimostrarne la buona gestione, hanno avuto la necessità di assumere nuovi lavoratori. | ||
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+ | Vari studiosi, tra i quali Andrés Ruggieri, ricordano che dopo il Cordobazo del 1968 le esperienze di autogestione delle fabbriche durarono al più poche settimane e che i dieci anni attuali implicano l’essere entrati in una esperienza stabile e nuova. Andando sull’altra riva del grande fiume, anche nel ben più piccolo Uruguay, le proporzioni sono identiche (circa il 10% di quelle argentine, come per la popolazione). Imprese come la fabbrica di pneumatici FUNSA dà lavoro, sotto il controllo dei sindacati, a ben 226 lavoratori, una dimensione grande nel paese. | ||
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+ | Le fabbriche recuperate vanno spesso ben al di là del tema del lavoro, cambiando l’approccio alla politica e alla vita sociale in tanti quartieri popolari. Nell’88% dei casi si tengono assemblee regolari, una palestra alla vita politica che rompe il modello sociale vigente. In tre fabbriche su quattro tutti i lavoratori ricevono lo stesso salario, indipendentemente dal tipo di lavoro realizzato. Non basta: almeno una fabbrica su tre ospita eventi culturali e attività educative per tutta la comunità, sono in grado di fare donazioni e partecipano attivamente alla vita delle organizzazioni popolari della zona. Il caso simbolo è proprio quello dell’IMPA, la prima fabbrica recuperata. Oggi la fabbrica è solo un pezzo di una piccola holding cooperativa industrial-culturale. Nella fabbrica continuano a produrre alluminio 58 operai, nel centro culturale e di salute lavorano in 30 e nella scuola popolare in 43. Dopo una crisi profonda nell’agosto 2009, quando la fabbrica è stata di nuovo vicina allo sgombero in un conflitto che appare senza fine, c’è stato il rilancio con l’idea di un’università dei lavoratori. All’inaugurazione sono state cantati in sequenza l’inno argentino, l’Internazionale e la marcha peronista. | ||
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+ | Cambia, todo cambia, direbbe la negra Sosa. Ma alcune cose rimangono. Per esempio i lavoratori delle fabbriche recuperate non hanno buttato a mare il modello organizzativo taylorista/fordista delle fabbriche novecentesche che (incomprensibilmente per molti premi Nobel dell’economia) qui continua a funzionare. Integrano però un gran numero di incontri informali durante l’orario di lavoro (Marchionne ne morrebbe) e di decisioni collettive. Sono invece scomparsi i controlli obbligatori all’uscita, che supponevano che l’impresa considerasse i lavoratori irresponsabili del bene della stessa e tutti potenziali ladri, sulla via della costruzione di un soggetto collettivo capace di assumere le proprie responsabilità. | ||
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+ | Tutto rosa? Molti problemi permangono, primo fra tutti una divisione del lavoro che rimane netta tra mansioni produttive e mansioni tecnico-amministrative. Inoltre la redditività tende ad essere ben più bassa, quindi spesso gli stipendi sono più bassi e mancano gli strumenti tipici delle imprese capitaliste, primo fra tutti il licenziamento, per superare le crisi. Tuttavia è falso che le imprese recuperate sono uno strumento di consenso politico finanziato dallo Stato: appena l’8% beneficia di commesse pubbliche. | ||
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+ | Simbolico, soprattutto per le imprese che meglio funzionano, e quindi hanno avuto la possibilità di assorbire nuovo personale, è che in oltre il 40% dei casi alla fine quest’ultimo non è divenuto socio della cooperativa con pari diritti, ma salariato della stessa. | ||
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+ | Al di là dei problemi, ad oggi, i lavoratori argentini sanno che recuperare le fabbriche è uno strumento efficace non solo di lotta al momento della contrattazione, ma anche una risorsa di resistenza al momento della crisi. Oggi in Argentina il fallimento (dei padroni) fa meno paura e, se lo si fabbrica giorno per giorno, un altro mondo, e un altro lavoro, è davvero possibile. | ||
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====Cooperative industriali==== | ====Cooperative industriali==== | ||
- | Queste stesse cooperative sociali INDUSTRIALI si organizzano come comunità che razionalizzano la soddisfazione dei propri bisogni: alimentari, di assistenza (mense, asili, istruzione, informazione), di logistica (trasporti). Ogni area industriale si organizza con una autoproduzione orticola nei pressi dei luoghi di lavoro. Generando sinergia. Maggiore è l'impianto proporzionale sarà l'area verde orticola di autoproduzione. Chi lavora industrialmente dedica parte del suo tempo al lavoro orticolo per recuperare benessere, equilibrio psico-fisico, rapporto con la natura. Questa struttura sinergica riduce enormemente il costo del lavoro. | + | Queste stesse cooperative sociali INDUSTRIALI si organizzano come comunità che razionalizzano la soddisfazione dei propri bisogni: alimentari, di assistenza (mense, asili, istruzione, informazione), di logistica (trasporti). Ogni area industriale si organizza con una autoproduzione orticola nei pressi dei luoghi di lavoro. Generando sinergia. Maggiore è l'impianto proporzionale sarà l'area verde orticola di autoproduzione. Chi lavora industrialmente dedica parte del suo tempo al lavoro orticolo per recuperare benessere, equilibrio psico-fisico, rapporto con la natura. Questa struttura sinergica riduce enormemente il costo del lavoro. Vedi sotto il paragrafo [[ProgrammaEconomicoVeneto02#Transizione|Transizione]]. |
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====Agricoltura biologica==== | ====Agricoltura biologica==== | ||
Rilancio massivo della agricoltura biologica, unica garanzia della ri-vitalizazzione del territorio, a livello naturalistico, sociale, di salute pubblica. Per agricoltura biologica intendo una agricoltura tradizionale libera da OGM, pesticidi, semi conciati e concimi chimici che non fossero le classiche, poco inquinanti, miscele calcio+potassio+fosforo - 25-20-10, 25-15-10, 20-20-10 ecc. (quindi ammessi concimazione naturale, chimica "naturale", verderame per vigne e ortaggi ecc). L'obiettivo è una produzione qualitativa e quantitativa consistente alla portata di tutti. In un contesto di cooperazione e di condivisione dei saperi. Il passo iniziale è quello di aprire il più possibile il commercio diretto tra il consumatore e il produttore, che successivamente può essere indirizzato e aiutato dagli stessi consumatori a convertire il suo modello produttivo. A mio avviso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) non dovrebbero porre il biologico come condizione imprescimndibile, ma come punto di arrivo attraverso l'autocoscienza del produttore che a sua volta diviene promotore del cambiamento. | Rilancio massivo della agricoltura biologica, unica garanzia della ri-vitalizazzione del territorio, a livello naturalistico, sociale, di salute pubblica. Per agricoltura biologica intendo una agricoltura tradizionale libera da OGM, pesticidi, semi conciati e concimi chimici che non fossero le classiche, poco inquinanti, miscele calcio+potassio+fosforo - 25-20-10, 25-15-10, 20-20-10 ecc. (quindi ammessi concimazione naturale, chimica "naturale", verderame per vigne e ortaggi ecc). L'obiettivo è una produzione qualitativa e quantitativa consistente alla portata di tutti. In un contesto di cooperazione e di condivisione dei saperi. Il passo iniziale è quello di aprire il più possibile il commercio diretto tra il consumatore e il produttore, che successivamente può essere indirizzato e aiutato dagli stessi consumatori a convertire il suo modello produttivo. A mio avviso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) non dovrebbero porre il biologico come condizione imprescimndibile, ma come punto di arrivo attraverso l'autocoscienza del produttore che a sua volta diviene promotore del cambiamento. | ||
====Cultura autoprodotta al posto della pubblicità==== | ====Cultura autoprodotta al posto della pubblicità==== | ||
E' da sviluppare l'importanza del lato culturale in una prospettiva economica. Il mestiere dell'artista che produce idee simboliche per poter sviluppare progetti economici individuati attraverso un altro modo di analizzare la situazione, non frontalmente ma a 360° e in modo trasversale e compenetrante. Questa cultura esiste già ed è la "pubblicità". Per quanto mistificante e di corto respiro, basata sullo spreco, sul consumo vistoso, su un erotismo da geometri, la sua funzione è quella di trasformare in modo simbolico beni materiali e immateriali. La pubblicità va sostituita con una cultura che risponda alle sofisticate esigenze collettive comuni alla gran parte della popolazione del pianeta. Per chi non ne avesse bisogno più che da rimpiangere forse sarebbe da invidiare... | E' da sviluppare l'importanza del lato culturale in una prospettiva economica. Il mestiere dell'artista che produce idee simboliche per poter sviluppare progetti economici individuati attraverso un altro modo di analizzare la situazione, non frontalmente ma a 360° e in modo trasversale e compenetrante. Questa cultura esiste già ed è la "pubblicità". Per quanto mistificante e di corto respiro, basata sullo spreco, sul consumo vistoso, su un erotismo da geometri, la sua funzione è quella di trasformare in modo simbolico beni materiali e immateriali. La pubblicità va sostituita con una cultura che risponda alle sofisticate esigenze collettive comuni alla gran parte della popolazione del pianeta. Per chi non ne avesse bisogno più che da rimpiangere forse sarebbe da invidiare... | ||
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====Produzione di Relazioni sociali==== | ====Produzione di Relazioni sociali==== | ||
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===Transizione=== | ===Transizione=== | ||
Si può riprendere il modello degli industriali (fordisti e moderatamente tayloristi) della II metà del 1900. Gli Adriano Olivetti in Italia, i Francesco Rossi a Schio con il Lanificio Rossi campione delle attività sociali, gli opifici costruiti assieme alle case per gli operai sullo stile dei cottage con l'orto per integrare la dieta e la borsa dei lavoratori, per non parlare di Robert Owen. Certo queste misure ''sociali'' avevano lo scopo di ''entrare'' nell'economia di mercato, anziché di ''uscirne''. Ma per uscirne appunto bisogna solo procedere in senso inverso. Alla Olivetti venivano prese in considerazione tutte le esigenze della ''comunità'' che operava nella fabbrica: dagli asili alle mense, dalla salute dei lavoratori al loro sviluppo culturale. Riducendo questo modello da uno schema <font color="blue">'''fordista'''</font> (cioè su scala grande e automatizzata) ad uno schema <font color="blue">'''familista'''</font> (cioè su scala piccola, famigliare estesa, clanica, differenziata, localizzata, decentralizzata). Recuperando in parte anche lo schema medioevale corporativo depurato della sua componente patriarcale-autoritaria (si può fare). Rimane al centro l'idea individualista dell'imprenditore, della chieftainship o chefferie, del capo tribù o della capessa-madre della tribù, che coordina le attività rituali economiche sociali della famiglia senza ricevere nulla in cambio oltre al prestigio della sua funzione. | Si può riprendere il modello degli industriali (fordisti e moderatamente tayloristi) della II metà del 1900. Gli Adriano Olivetti in Italia, i Francesco Rossi a Schio con il Lanificio Rossi campione delle attività sociali, gli opifici costruiti assieme alle case per gli operai sullo stile dei cottage con l'orto per integrare la dieta e la borsa dei lavoratori, per non parlare di Robert Owen. Certo queste misure ''sociali'' avevano lo scopo di ''entrare'' nell'economia di mercato, anziché di ''uscirne''. Ma per uscirne appunto bisogna solo procedere in senso inverso. Alla Olivetti venivano prese in considerazione tutte le esigenze della ''comunità'' che operava nella fabbrica: dagli asili alle mense, dalla salute dei lavoratori al loro sviluppo culturale. Riducendo questo modello da uno schema <font color="blue">'''fordista'''</font> (cioè su scala grande e automatizzata) ad uno schema <font color="blue">'''familista'''</font> (cioè su scala piccola, famigliare estesa, clanica, differenziata, localizzata, decentralizzata). Recuperando in parte anche lo schema medioevale corporativo depurato della sua componente patriarcale-autoritaria (si può fare). Rimane al centro l'idea individualista dell'imprenditore, della chieftainship o chefferie, del capo tribù o della capessa-madre della tribù, che coordina le attività rituali economiche sociali della famiglia senza ricevere nulla in cambio oltre al prestigio della sua funzione. | ||
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===Case story 1:La Mario Brothers impresa piccola ma molto tecno=== | ===Case story 1:La Mario Brothers impresa piccola ma molto tecno=== |
Versione corrente delle 11:37, 8 gen 2016
In sintesi
Proponiamo una produzione sociale basata sui bisogni reali dei cittadini e realizzata in piena e totale sinergia, sul territorio e sul piano locale, con le strutture municipali istituzionali, democratiche e partecipate.
Manutenzione
Appoggiare politicamente i produttori coscienti e consapevoli che lavorano sul modello di business della manutenzione: Beni come commons (beni comuni) e business come MANUTENZIONE. Questo funziona da anni nell'area del Software (Free Software). Si tratta di vendere a prezzi minimi o regalare i beni e vendere a prezzi ragionevoli la manutenzione, la personalizzazione e l'implementazione del bene “regalato” e “mantenuto”. Questo significa creare il ciclo virtuoso di beni che avranno una lunga esistenza. E' interesse del produttore (per vendere la MANUTENZIONE), del consumatore (non cambia il bene e si affeziona e impara a gestirlo al meglio), e dell'ambiente (risparmio massimo di risorse). Questo ciclo virtuoso crea un rapporto reale di conoscenza/uso (teorico/pratico) del bene scambiato e comune tra produttore e consumatore, ricomponendo tendenzialmente la dicotomia tra produttore e consumatore. Questo già si verifica nel software: i consumatori aiutano, testando il software e segnalando gli errori o proponendo modifiche, i produttori di Software Libero, arrivando a conoscere molto bene ("amandolo") in forma diffusa il prodotto che usano. Questo si verifica già nel caso del beni fai-da-te o di bricolage. Per una trattazione completa di una Produzione sociale basata sui Beni Comuni oppure Commons Based Peer Production vedi: il sito di Yochai Benkler docente alla università di Yale.
Industrie dismesse o delocalizzate
Questo modello si può applicare da subito agli impianti industriali dismessi o de-localizzati: Si rilevano gli impianti come cooperative sociali dei produttori e si vende il “service” della manutenzione per tutti i beni già venduti e circolanti (localmente o anche worldwide). Per i nuovi prodotti si procede ad una aggressiva politica di marketing, VENDENDO BENI CON UN CICLO DI VITA LUNGHISSIMO e contabilizzando come entrata di business LA MANUTENZIONE. Questo è un nuovo modello di business. Questo potrebbe valere da subito per la FIAT. Inoltre, come propone Guido Viale, la Fiat potrebbe essere ri-convertita a spese della attuale proprietà per produrre veicoli non inquinanti da usare per il trasporto pubblico e/o microgeneratori non inquinanti per le famiglie. Le relazioni sociali e di lavoro in queste cooperative industriali sarebbero basate su relazioni neo-claniche di comunità semi-autosufficienti; vedi sotto le Cooperative Industriali.
Vedi anche l'esempio delle Fabbriche Recuperate in Argentina.
Vedi anche Per una riconversione ecologica dell'industria - la proposta di Guido Viale alla FIOM
Cooperative industriali
Queste stesse cooperative sociali INDUSTRIALI si organizzano come comunità che razionalizzano la soddisfazione dei propri bisogni: alimentari, di assistenza (mense, asili, istruzione, informazione), di logistica (trasporti). Ogni area industriale si organizza con una autoproduzione orticola nei pressi dei luoghi di lavoro. Generando sinergia. Maggiore è l'impianto proporzionale sarà l'area verde orticola di autoproduzione. Chi lavora industrialmente dedica parte del suo tempo al lavoro orticolo per recuperare benessere, equilibrio psico-fisico, rapporto con la natura. Questa struttura sinergica riduce enormemente il costo del lavoro. Vedi sotto il paragrafo Transizione.
Agricoltura biologica
Rilancio massivo della agricoltura biologica, unica garanzia della ri-vitalizazzione del territorio, a livello naturalistico, sociale, di salute pubblica. Per agricoltura biologica intendo una agricoltura tradizionale libera da OGM, pesticidi, semi conciati e concimi chimici che non fossero le classiche, poco inquinanti, miscele calcio+potassio+fosforo - 25-20-10, 25-15-10, 20-20-10 ecc. (quindi ammessi concimazione naturale, chimica "naturale", verderame per vigne e ortaggi ecc). L'obiettivo è una produzione qualitativa e quantitativa consistente alla portata di tutti. In un contesto di cooperazione e di condivisione dei saperi. Il passo iniziale è quello di aprire il più possibile il commercio diretto tra il consumatore e il produttore, che successivamente può essere indirizzato e aiutato dagli stessi consumatori a convertire il suo modello produttivo. A mio avviso i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) non dovrebbero porre il biologico come condizione imprescimndibile, ma come punto di arrivo attraverso l'autocoscienza del produttore che a sua volta diviene promotore del cambiamento.
Cultura autoprodotta al posto della pubblicità
E' da sviluppare l'importanza del lato culturale in una prospettiva economica. Il mestiere dell'artista che produce idee simboliche per poter sviluppare progetti economici individuati attraverso un altro modo di analizzare la situazione, non frontalmente ma a 360° e in modo trasversale e compenetrante. Questa cultura esiste già ed è la "pubblicità". Per quanto mistificante e di corto respiro, basata sullo spreco, sul consumo vistoso, su un erotismo da geometri, la sua funzione è quella di trasformare in modo simbolico beni materiali e immateriali. La pubblicità va sostituita con una cultura che risponda alle sofisticate esigenze collettive comuni alla gran parte della popolazione del pianeta. Per chi non ne avesse bisogno più che da rimpiangere forse sarebbe da invidiare...
Produzione di Relazioni sociali
Si tratta di ricostruire le relazioni sociali, di ricostruire la società civile, le relazioni famigliari, di vicinato, di quartiere, di città, e soprattutto di lavoro in comune, e premere, con tutta quanta questa struttura vitale, verso l'economia che ora si è resa indipendente e che schiaccia con la sua logica "geometrica", di puro calcolo, la vita civile. Dobbiamo partire dai lavoratori individuali, dalle piccole e medie imprese, appoggiare quelli che spontaneamente si muovono su questi valori e trasfondere in loro questa vita della società civile. Aiutarli, controllarli, supportarli, ispirarli, lavorare con loro. Riunire il momento produttivo al momento sociale, far entrare questi soggetti sociali-economici nella logica che "lavorano per il bene comune".
Ricomposizione della unità sinergica
Si tratta di ridurre progressivamente la devastante DIVISIONE DEL LAVORO operata dal capitalismo verso una riunificazione del lavoro sociale, di produttori e consumatori, di lavoro intellettuale e di lavoro manuale, di lavoro industriale e di lavoro agricolo, di lavoro "produttivo" e di lavoro di "cura". Di ricostuire dal basso verso l'alto, dalla periferia verso le altre periferie, da ogni direzione verso tutte le altre direzioni, una unità organica sinergica simile a quella che vediamo all'opera nella natura.
Transizione da una economia di mercato ad una economia mista
Chi volesse passare direttamente al caso pratico della proposta di transizione alla economia mista può saltare tutti i paragrafi seguenti, che sono solo una giustificazione teorica generale, sino al paragrafo Transizione e successivi.
Ringraziamenti
Le idee qui proposte sono una elaborazione di spunti ricevuti da Giordano, Pir, Marcello, Luigi. La “economia” è il regno della necessità, dove la nostra cultura “umana” interagisce con il mondo, con l'ambiente, con la “natura”. Natura di cui facciamo comunque parte anche quando viviamo l'acme del nostro simbolismo. Quando viviamo la illusione o la falsa coscienza di essere noi in quanto individui o in quanto “società di individui” a determinarla. Esempio: se ho mal di testa non riesco a studiare. Se sto comunicando su Internet con uno scienziato giapponese e il gatto mi stacca la spina del computer, la scienza si ferma. Se sto fondando una religione e Pilato mi condanna, posso solo sperare che nel futuro i Romani mi rimettano sul Trono.
Economia di mercato
Molti propongono un tipo di economia e di società basata su regole diverse dalle attuali. Sia in una economia collettivista (ex-URSS), sia in una economia liberista o capitalista, cioè di mercato in senso stretto, lo scambio di beni, di servizi, di attività, è basato su misurazioni quantitative del “valore” astratto dei beni scambiati. Nell'economia collettivista marxista tale “valore” era basato su valutazioni politiche ed ideologiche ricavate da una arcaica filosofia morale, secondo l'equazione valore=lavoro di A.Smith e D.Ricardo, economisti della fine del 1700. Nell'economia capitalista il valore si muove liberamente su parametri molteplici legati in qualche modo alle aspettative del consumatore-acquirente; in tale economia di mercato , nel rapporto di scambio, non esistono rapporti personali-umani, rituali-magici, emozionali-culturali, festuali-orgiastici; non esiste arricchimento durante e dentro il processo di scambio; non c'è un accrescimento materiale-culturale tra chi partecipa allo scambio ma solo una rigida quantificazione di valori numerici che devono essere alla pari (prezzo di domanda e prezzo di offerta) . Crollata con l'implosione dell'URSS la proposta marxista di una arcaica e rigida pianificazione demiurgica proto-platonica, l'economia libera di mercato si è mossa inevitabilmente nella direzione di plasmare la psicologia dell'acquirente/consumatore. Di plasmare la psicologia di individui umani e di intere società, sulla base di falsi bisogni, o di bisogni artificialmente indotti. Thorstein Veblen ha tracciato la storia di questa situazione moderna nel suo libro “La teoria della classe agiata”. Il risultato di questa dinamica economica e sociale è la distruzione della psicologia degli individui in quanto soggetti autonomi e delle famiglie e comunità con cui essi si aggregano da epoche remote. Questa distruzione implica la distruzione dell'ambiente naturale modificato (antropizzato) costruito da queste comunità (savane foreste oasi montagne colline deserti pianure antropizzati e utilizzati per la raccolta-caccia, campagne coltivate, borghi, città) e in definitiva la distruzione dell'ambiente tout court.
Economia dello scambio basato sul dono e sulla reciprocità
Serge Latouche e il MAUSS francese propongono di tornare al modello delle società pre-storiche e pre-statuali basate sul triangolo di uno scambio diverso: dono spontaneo, accettazione del dono, reciprocità. Questo modello è un universale culturale tracciato dalla antropologia in tutte le società indagate. Questo modello sopravvive anche nelle società moderne soprattutto nelle infinite attività (femminili) di cura e nel volontariato. Questo modello si basa su una completa manifestazione sinergica di tutte le espressioni umane: arte, cultura, emozioni, tecnologia (naturale), ritualità, fusione e sviluppo di bio-diversità culturali. Il punto di partenza di questo paradigma fantastico è il celebre anello del kula di B.Malinowski. La caratteristica principale di questo modello è la sinergia, il risparmio di energie, l'entropia prossima allo zero, la resilienza (capacità di resistere a bruschi cambiamenti improvvisi), la robustezza strutturale.
Un passaggio difficile
B.Malinowski, etnologo serio e teorico dotato del buon senso di chi ha conosciuto la vita reale e le culture primitive reali, nonché laureato in matematica anziché in filosofia, proponeva una teoria delle società umane basate nel loro sviluppo sulla famiglia, in antitesi alle successive teorie di altri antropologi, nello specifico in antitesi a C.Levi-Strauss (laureato in filosofia e diritto, prima in diritto e poi in filosofia, perchè la laurea in filosofia era facile a prendersi una volta ottenuta quella in diritto). Risolte con un pochino di pazienza le difficoltà logiche connesse al fatto che la famiglia non è costruita solo su una base biologica ma anche su una base culturale o simbolica, ne deriva che tale era il centro di sviluppo della umanità in tutte le sue accezioni. Se sia venuta prima la natura della famiglia biologica o la cultura della famiglia estesa con tutte le ragnatela delle sue alleanze, è un falso problema. Di fatto le due cose sono strettamente unite e interconnesse in uno sviluppo dinamico. In tale sviluppo la famiglia si estende verso una struttura di clan (clanica) che raggruppa, unisce, “organizza” più famiglie in infiniti modi diversi. Se questo è vero, è dalla famiglia che dobbiamo ripartire per rimettere in movimento il paradigma dell'economia del dono. La proposta di S.Latouche è di far ripartire l'economia su una base neo-clanica. Nell'ipotesi di B.Malinowski questa proposta è ben fondata.
Contro il pessimismo
Per chi valutasse impossibile un passaggio del genere ricordo che è stata ricostruita una intera cultura ripartendo da dati storici archiviati nei musei. L'esperienza dei nativi americani ha del prodigioso. Mescolati con altre etnie, distrutti e sommersi da ondate di culture diverse e più forti, hanno ripreso la loro lingua, la loro spiritualità, il loro stile di vita, ripartendo praticamente da zero. Hanno studiato la loro lingua archiviata nei musei, i loro costumi, la loro ritualità e le hannno fatto rivivere. Gli “altri” tentano di inserirsi in questo re-vival.
Familismo amorale
Imperversa nella letteratura sociologica il termine di “familismo amorale”, coniato da un sociologo americano negli anni 1950. Dimostra solo la grettezza di chi pretende di classificare le culture e le situazioni umane sulla base di un generico progresso tecnologico ormai privo di appeal. La corretta interpretazione del “familismo amorale” lo definisce come la risposta necessaria ad una emarginazione economica e sociale prodotta da quello stesso “progresso” tecnologico ed economico che si vuole esaltare. La realtà è semplice: le famiglie contadine della Lucania, che vivevano di una economia di sussistenza, si chiudevano in sé stesse diffidenti delle istituzioni statali. Nessuno tra i vari sociologi (ma hanno studiato la storia?) ricorda che la Lucania era la base del brigantaggio (1861), il fenomeno che spaccava l'unità di Italia al suo nascere. Esisteva il familismo amorale nel 1861? La mafia stessa non era forse alleata in funzione anti-borbonica con il governo monarchico piemontese poi e con Garibaldi prima, sbarcato in Sicilia con i mille e non più mille? Non era forse la mafia nata anch'essa su una distorsione malefica del modello clanico-famigliare, in senso filo-statale e filo-istituzionale, cioè collusa con stato, partiti, economia di mercato?
Esempi attuali di economia basata sul familismo clanico (morale e politicamente corretto)
In Africa secondo Latouche sta sorgendo un tipo di economia basato sul modello neoclanico. La “famiglia” viene estesa anche con la parentela per scherzo. La flessibilità, la resilienza di questo modello riescono a piegare il paradigma dell'economia di mercato alle necessità reali di queste comunità. E' centrale il momento della festa, dell'incontro rituale sia individuale che collettivo.
In Messico il movimento zapatista-maya si struttura su villaggi agricoli e sulla identità di una cultura antica, per riconquistare il territorio nella sua materialità e organizzarsi in forme politicamente partecipate senza asimmetrie di genere uomo-donna. Da tener conto che anche qui, come nel caso citato in “contro il pessimismo”, si tratta di ricostruzione artificiali di culture che funzionano: i villaggi “maya” erano stati riorganizzati dai missionari decenni fa, amalgamento etnie diverse.
In Ecuador e Bolivia partiti e istituzioni statali si muovono in blocco verso discorsi avanzati di un ritorno ai modelli culturali che prefigurano un rapporto con la natura come se la natura fosse la propria madre: pachamama. Un rapporto antitetico al biblico: vai e domina la natura e tutti gli esseri che la compongono (umani compresi). Paradigma che ha dominato la cultura euro-asiatica. Il 1 ottobre un tentativo di colpo di stato in Ecuador è stato sventato. L'imperialismo americano comincia a perdere colpi.
In Brasile si ha una enorme varietà di situazioni diverse e di alchimie tra una società primitiva ed una pienamente moderna. Si passa da fabbriche de-localizzate in Asia ed autogestite dagli operai-tecnici organizzati in soviet sullo stile della “partecipatory economics” (parecon) a tribù amazzoniche che, dopo aver vissuto nella civiltà, si ritirano nella foresta rifiutando il contatto con le strutture istituzionali moderne (stato brasiliano e suoi emissari) cacciando con archi e frecce senza disdegnare i rayban, gli orologi, le pentole d'acciaio e le motoseghe. Passando per organizzazioni di siqueiros (raccoglitori della gomma) che utilizzano in modo sostenibile la foresta per “vendere gomma vegetale sul mercato”. I garempeiros, cercatori di diamanti, metallli, e pietre preziose, sono meno integrabili in un discorso generale di tipo ambientalistico, ma senza disperare in una loro integrazione nel flusso di questa fusione di modelli culturali.
Transizione
Si può riprendere il modello degli industriali (fordisti e moderatamente tayloristi) della II metà del 1900. Gli Adriano Olivetti in Italia, i Francesco Rossi a Schio con il Lanificio Rossi campione delle attività sociali, gli opifici costruiti assieme alle case per gli operai sullo stile dei cottage con l'orto per integrare la dieta e la borsa dei lavoratori, per non parlare di Robert Owen. Certo queste misure sociali avevano lo scopo di entrare nell'economia di mercato, anziché di uscirne. Ma per uscirne appunto bisogna solo procedere in senso inverso. Alla Olivetti venivano prese in considerazione tutte le esigenze della comunità che operava nella fabbrica: dagli asili alle mense, dalla salute dei lavoratori al loro sviluppo culturale. Riducendo questo modello da uno schema fordista (cioè su scala grande e automatizzata) ad uno schema familista (cioè su scala piccola, famigliare estesa, clanica, differenziata, localizzata, decentralizzata). Recuperando in parte anche lo schema medioevale corporativo depurato della sua componente patriarcale-autoritaria (si può fare). Rimane al centro l'idea individualista dell'imprenditore, della chieftainship o chefferie, del capo tribù o della capessa-madre della tribù, che coordina le attività rituali economiche sociali della famiglia senza ricevere nulla in cambio oltre al prestigio della sua funzione.