Femminità

Da Ortosociale.

Il termine FEMMINITA' nasce dall'esigenza di superare lo stereotipo che la parola FEMMINILITA' restituisce semplicisticamente di un universo ricco, complesso, in continuo divenire. L’insieme di caratteristiche attribuite dal pensiero dominante alla donna riduce, infatti, drasticamente gli aspetti, le capacità e le potenzialità che le appartengono. Opposto al modello virile, sinonimo di razionalità, forza e coraggio, sicurezza e risolutezza nell’azione, il femminile si distingue per emotività, assimilata dall’apparato cognitivo prevalente ad irrazionalità, debolezza, pavidità, insicurezza e passività. Il quadro rimanda l’idea di una donna dipendente dall’uomo, incapace di governare la propria vita, quindi inadatta a gestire la cosa pubblica. La perdita della qualità di soggetto ha giustificato la millenaria prigionia nella sfera domestica. Purtroppo i due stereotipi resistono ancora oggi, malgrado la seppur contenuta partecipazione femminile alla vita pubblica ne evidenzi l’intima inconsistenza peraltro confermata, al di là di ogni ragionevole dubbio, dalle ricerche scientifiche. Il loro superamento, attraverso una sistematica decostruzione, si pone pertanto, come inderogabile necessità.

STEREOTIPO FEMMINILE

Perché ci sia vera decostruzione non si può prescindere da un confronto costante e serrato con la realtà. Esaminiano prima lo stereotipo femminile. Le ricerche condotte in tutto il mondo evidenziano la priorità degli organismi in grado di riprodursi, quelli femminili appunto, che, applicandosi all’autocostruzione, hanno dato origine ciascuno alla propria specie. Secondo il concetto organizzativo elaborato dai biologi, quello femminile è il sesso di base mentre quello maschile è il sesso sviluppato in seguito. Scrive a tal proposito David Crews: “questo modo di vedere si basa sull’idea che il sesso maschile si sia sicuramente evoluto solo dopo la comparsa dei primi organismi autoreplicanti (quindi femmine)…quello femminile è il sesso ancestrale e quello maschile il derivato” (La sessualità degli animali, in Le scienze n. 307, marzo 1994). I recenti esperimenti sulla clonazione, inoltre, indicano nella madre il soggetto che permette lo sviluppo e l’evoluzione della specie. In un’intervista al settimanale Panorama del 25 febbraio 1999, il professor Renato Dulbecco, Premio Nobel 1975 per la medicina, ha spiegato come il meccanismo della clonazione abbia evidenziato l’importante ruolo svolto dal citoplasma della cellula uovo nel ringiovanimento del nucleo ospite e nell’attivazione del processo di sviluppo. “Questo fenomeno – scrive – oltre all’interesse biologico, ha anche un interesse filosofico, perché indica che già da principio il contributo materno è fondamentale. Esso rinforza l’idea che lo sviluppo dell’umanità è dovuto alle madri, non solo per lo sviluppo intrauterino e per la cura del neonato ma anche nel dirigere l’attività dei geni verso lo sviluppo”. Ma non basta, alcune ricerche collegano l’evoluzione cerebrale dei mammiferi allo sviluppo del comportamento materno (“Il cervello materno” in Le Scienze di marzo 2006), mentre altre attribuiscono alla madre la costruzione della corteccia cerebrale tout court (Keverne E. Barry, “Genomic Imprinting in the Brain” in Current opinion in Neurobiology, n. 7, 1997). I numerosi studi sul dimorfismo cerebrale tra donne e uomini, poi, presentano un cervello femminile più plastico e più sviluppato nelle zone riservate ai processi superiori di elaborazione e al linguaggio. Il quadro d’insieme rimanda l’idea di un corpo femminile che reagisce complessivamente in modo più evoluto agli stimoli perché le donne riescono a discernere meglio le situazioni rispetto agli uomini. Sembra che abbiano, insomma, più testa, cosa confermata peraltro dalla civile attività quotidiana della stragrande maggioranza delle donne nel mondo, altamente razionale perché funzionale alla vita. Stando così le cose, non è errato affermare che sia stato il cosiddetto secondo sesso, come viene definito contro ogni evidenza il sesso femminile, a far compiere un deciso salto di qualità alla nostra specie differenziandola dalle altre. Può allora lo stereotipo definito sopra attagliarsi a colei che ha fondato la specie, permettendole non solo di sopravvivere ma di evolversi in modo tanto significativo?

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