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Da Ortosociale.
IL CONCETTO DI MATERNITÀ
di Angela Giuffrida
Da tempo affermo che riconcettualizzare sia un imperativo categorico, visti i disastri prodotti a livello planetario da un sistema di pensiero a dir poco inadeguato. Rielaborare il concetto di maternità è di sicuro uno degli obiettivi prioritari e più sensibili, anche perché comporta la revisione di altri fondamentali concetti ai quali è inestricabilmente legato.
Ridotta a meccanica riproduzione, a semplice attività animale priva dell’ausilio dell’intelligenza, considerata un fastidioso impedimento al progresso umano, la maternità nelle organizzazioni sociali androcratiche non gode della considerazione che meriterebbe, dato il suo ruolo determinante e insostituibile per l’esistenza e l’evoluzione della specie. Su tale discredito gli uomini hanno basato la loro pretesa supremazia e il confinamento delle donne in una dimensione domestica, privata e minore, separata dalla dimensione politica. La scissione è evidente nel mondo greco con l’avvento delle città-stato. Nella polis il bieco sfruttamento delle donne e degli schiavi, cioè della maggioranza della popolazione, assicurava ad un numero esiguo di cittadini il libero sviluppo del pensiero, l’esercizio della democrazia e quella “buona vita” che Aristotele attribuiva alla liberazione dalla fatica e dal lavoro necessari per esistere, al superamento dell’istinto di sopravvivenza e alla risoluzione dei legami che tengono avvinti gli organismi al processo biologico della vita.
Come si vede il fine da perseguire era l’emancipazione dalla vita a cui è stata dichiarata una guerra che perdura, resistendo tenacemente a qualsiasi cambiamento, e che ai nostri giorni ha assunto proporzioni impensabili, grazie a tecnologie sempre più sofisticate. La svalutazione e la subordinazione delle donne, l’idiosincrasia nei confronti della maternità e della cura sono gli aspetti principali del generale misconoscimento della vita e del suo valore. Tutte le società maschiocentriche si basano, infatti, sullo sfruttamento e il contemporaneo oscuramento delle attività di cura svolte in genere dalle donne e tutte perseguono il potere nell’accezione più negativa di dominio.
Il vivente e la necessità di sostenerlo non sono compresi nel fondamento e nel fine dell’intera costruzione, che offre quindi una gamma pressoché infinita di esempi. Il principale è la cancellazione della visione del mondo e dei saperi delle donne che ha messo definitivamente la vita fuori dalla porta. Ve ne sono però altri piuttosto significativi: un bambino ogni 3-4 secondi muore di fame malgrado la produzione complessiva delle risorse sia doppia rispetto al fabbisogno della popolazione mondiale; la distanza tra ricchi e poveri si acuisce sempre più; le spese militari globali sono l’uscita più cospicua mentre gli stati faticano a trovare fondi per dare sostegno ai viventi.
Secondo me non si è riflettuto abbastanza sull’insensatezza del sistema di sapere e potere maschile che deprezza e disprezza la vita al punto da mettere in serio pericolo la propria specie e la natura che la nutre e la ospita. E’ giunto il momento di chiedersi come mai gli uomini, che pure sono viventi, considerano estranea la vita. Questa giusta domanda viene però generalmente evitata e sostituita da una valanga di denunce prive di sbocco risolutivo in quanto eludono la causa reale dei problemi.
Essendomi da anni dedicata a pensare il pensiero, il quesito si è imposto per forza propria ed ha anche trovato risposta grazie alla teoria del corpo pensante [Nota 1] per la quale l’assenza della vita è intrinseca al sistema concettuale maschile, tesi peraltro confermata dal pensiero filosofico che fin dai suoi esordi ha scelto come soggetto un ente immateriale - ragione, anima o spirito - non l’essere umano così com’è, cioè un concreto organismo vivente.
Un diverso approccio cognitivo al reale ha permesso di mettere al centro l’organismo, non più scisso in parti contrapposte, ma visto nella sua unitarietà e integrità come soggetto intelligente e responsabile. Essendo in grado di autogovernarsi e autoregolarsi, l’organismo è necessariamente un sistema cognitivo. Poiché sente può esperire, l’esperienza produce conoscenza, quindi pensiero. In altri termini la dimensione sensibile-affettiva non solo non ostacola il pensiero come gli uomini credono, ma è ciò che lo rende possibile. La mente è dunque un processo del corpo biologico non un oscuro ente che gli si oppone.
Ad assicurare al pensiero la sua forma è l’esperienza riproduttiva, in assoluto la più importante perché garantisce l’esistenza alla specie. E’ proprio la limitata esperienza degli uomini nel campo della produzione e cura dei viventi a ridurre drasticamente il loro campo conoscitivo, determinando un punto di vista parziale, incline a cogliere un singolo dato sconnesso dall’insieme di cui fa parte ed a contrapporlo al dato opposto in un conflitto radicale che si conclude con l’eliminazione di uno dei due. Atomizzato, esageratamente conflittuale, astratto, il mondo maschile non corrisponde al mondo reale alla cui costruzione i viventi si applicano da milioni di anni, connettendosi tra loro in un intreccio insolubile.
Il maschio umano riproduce lo stesso schema nella percezione di sé: l’anima confligge col corpo, la ragione con l’affettività e così via. Fatto a pezzi il corpo vivente scompare come soggetto unitario, capace di esperire, produrre pensiero e compiere scelte autonome; non più fonte di conoscenza qual è viene relegato nel mondo della materia opaca e retrocede a mero oggetto. Per questo motivo l’uomo vive proiettato all’esterno fuori dal proprio corpo, fra tutti i sensi privilegia la vista, riducendosi ad un occhio che vede il mondo ma non si vede; si pone infatti alla finestra e appiattisce il reale su uno schermo dove passano oggetti, fra cui il suo stesso corpo, che manipola a piacimento. Il vivente non alberga nel paesaggio cognitivo degli uomini perché essi non hanno sapere di sé.
Nel suo saggio Organismo e libertà Hans Jonas arriva alla stessa conclusione quando a proposito della scienza dice: “poiché la matematica rappresenta l’ideale della conoscenza, ciò significa che vera scienza c’è solo dell’essere esteriore e non di quello interiore” per cui “proprio colui che conosce è fra i suoi oggetti, cioè nel mondo, l’inconoscibile per eccellenza” [Nota 2].
Poiché le donne producono corpi, subiscono lo stesso ostracismo riservato al corpo vivente. Questo è, secondo me, il motivo principale dell’assurdo, ingiustificato ed ingiustificabile trattamento riservato alle madri umane dai loro figli. La mancata accettazione della dipendenza dalle donne, il rifiuto di occupare il posto consono al ruolo svolto nell’ordine naturale e il conseguente revanchismo, sono condizioni necessarie ma non sufficienti a spiegare l’irrazionalità delle scelte avverse alla vita fatte dagli uomini, singolarmente e collettivamente, scelte che si ritorcono anche contro di loro. Bumerang, il titolo scelto dalle editrici per il giornale, risulta quanto mai appropriato perché mette in luce un aspetto singolare del patriarcato, cioè che esso è portatore di una forma di individualismo particolarmente insensata perché nociva persino ai suoi sostenitori. L’egoismo non è, come si vuol far credere, un sintomo di forza, ma la spia di una profonda debolezza, il portato di una mente monoculare che, investendo su un unico elemento, ignora la complessità propria della vita e perciò genera idee e azioni autolesioniste.
Se si vuole elaborare una teoria critica del patriarcato veramente efficace, bisogna abbandonare il suo paradigma interpretativo perché, rimanendo al suo interno, se ne riproducono i meccanismi e si finisce per rafforzarlo. La sostanziale modifica apportata prima al concetto di organismo, mette in moto un processo autenticamente rivoluzionario. Se infatti il corpo biologico smette di essere un inerte contenitore del pensiero e viene considerato, com’è, il soggetto pensante, autore nella sua interezza della conoscenza, la donna e la funzione materna riacquisteranno la priorità e la centralità loro spettanti e riassegneranno alla vita il suo inestimabile valore.
E’ davvero bizzarro dover convincere dell’imprescindibilità della vita, nota a tutti i viventi, il maschio umano che si ritiene l’unico detentore della ragione con la erre maiuscola. Sono da convincere però anche le donne che, dopo millenni di patriarcato, non hanno piena consapevolezza di ciò che rappresentano per la specie e, d’altronde, la necessità di inserirsi nel mondo maschile le spinge a glissare sull’essenzialità della vita e a misconoscere l’importanza della maternità. Purtroppo anche quelle tra loro che ritengono indispensabile rimatrizzare le comunità per arrestare la folle corsa della specie verso l’autoannientamento, pur riconoscendo la priorità della madre, non si autorizzano ancora ad attribuire alle funzioni materne quel valore cognitivo che la teoria del corpo pensante riconosce e sostiene da anni.
La funzione procreativa è paradigmatica per la conoscenza del mondo anche per la donna, il soggetto che ha originato la propria specie a partire dall’autocostruzione. Le straordinarie esperienze attraversate e la miriade di saperi acquisiti hanno per forza di cose conferito alla sua mente forma e qualità proprie, come ad esempio ampiezza e flessibilità tali da comprendere la ridondanza e la ricchezza del reale e seguirne la mutevolezza e l’imprevedibilità. La donna ha sviluppato, insomma, una razionalità favorevole alla vita e ad essa funzionale, grazie ad un sistema di categorie che riproducono la capacità del suo corpo di contenere, costruire, connettere. Ed è proprio la creatività del corpo e la centralità della sua posizione all’interno della specie, a consentirle di stare tutta intera nel mondo e di assumerlo globalmente usando tutti i sensi. Tale ottica le consente di percepire come un tutt’uno indivisibile un insieme complesso, ad esempio l’organismo che gli uomini, non usufruendo del suddetto “colpo d’occhio”, assimilano alla macchina.
Poiché è la sua creatura, la donna sa che l’organismo vivente funziona e si sviluppa tutto intero fin dall’inizio. La creatura dell’uomo è invece la macchina che funziona solo alla fine dopo che i pezzi, costruiti separatamente, sono stati assemblati. La dominazione maschile del pianeta ha fatto assurgere a modello di ogni creazione la macchina, trasformando così un mondo di viventi in un mondo di morti. D’altra parte è comune esperienza che la morte, non la vita, regni ovunque sovrana sottoforma di conflittualità distruttiva di cui sono responsabili, ormai lo sappiamo, i meccanismi analitico-decostruttivi-oppositivi della mente maschile che radicalizzano ogni conflitto trasformandolo in guerra.
Nel saggio La razionalità femminile unico antidoto alla guerra [Nota 3] mostro come relazioni improntate all’antagonismo producano uno stato di guerra permanente che sfocia poi nelle guerre guerreggiate. Mostro anche come l’unica possibilità di cancellare la guerra in tutte le sue forme dalla faccia della terra consista nella sostituzione di un sistema di pensiero che fa del conflitto la sua regola di vita, con un altro che privilegia connessione e coesione, sapendo cogliere interrelazioni e interdipendenze fra le parti. Situando ad esempio i poli - su cui si focalizza lo sguardo maschile - nel loro contesto, lo sguardo unificante delle donne può servirsi di altre variabili per trovare soluzioni ai conflitti senza ricorrere all’eliminazione di uno dei due.
Dal mondo scientifico arriva una ricca messe di conferme che rafforza le tesi della teoria del corpo pensante circa la priorità femminile e l’incidenza delle esperienze di produzione e cura della vita sull’evoluzione psicofisica della specie. Ne cito alcune tra le più significative. La scoperta del “cervello chimico” [Nota 4] ha fornito una base fisiologica all’intuizione di “corpo pensante”, dimostrando non solo che la mente non sta tutta nella testa come pura funzione cerebrale ma che origina proprio dalla sensibilità organismica. Il corpo intero è sede di una comunicazione chimica, non sinaptica, fra le cellule, dovuta al complesso legante-recettore, che costituisce la base biochimica delle emozioni. Le emozioni fissano il ricordo e attivano la memoria, rendendo possibile la conoscenza [Nota 5].
La primarietà femminile è un fatto ormai acquisito dalla scienza che definisce sesso di base il sesso femminile e secondario quello maschile perché il differenziamento in senso maschile avviene per regressione di parti femminili. Lo stesso cromosoma Y è una contrazione del cromosoma X e possiede meno geni, alcuni necessari allo sviluppo dell’embrione, ragion per cui non esistono in natura individui dotati solo di cromosomi Y. Evidentemente il cromosoma X è il segno distintivo della specie, senza cui non vi sarebbe umanità. Per lo stesso motivo la prima parte dello sviluppo, immediatamente successiva alla fecondazione, avviene con il patrimonio genetico XX della madre. Ciò comporta il fatto che tutti gli embrioni sono femmine fino all’ottava settimana quando iniziano le trasformazioni atte alla differenziazione del genere maschile, dovute all’espressione dei geni presenti sul cromosoma Y.
Le ricerche sulla clonazione, poi, hanno evidenziato l’importante ruolo svolto dal citoplasma della cellula uovo nel controllare e dirigere l’attività dei geni dell’embrione verso lo sviluppo. Il Prof. Dulbecco, premio Nobel 1975 per la medicina, in un’intervista sottolinea l’interesse filosofico, non solo biologico del fenomeno perché indica che già da principio il contributo materno è fondamentale e rinforza l’idea che lo sviluppo dell’umanità è dovuto alle madri [Nota 6].
Di origine esclusivamente materna perché contenuti nel citoplasma sono anche i mitocondri, organelli che consentono a tutte le cellule di respirare e svolgere le loro funzioni. Poiché essi possiedono un proprio DNA che si riproduce autonomamente, gli scienziati hanno ipotizzato la discendenza della specie non solo da una stessa madre, ma addirittura dalla prima creatura femminile – una cellula madre – apparsa sulla Terra.
Pur essendo ormai note, le suddette ricerche restano nel campo della teoria senza intaccare la primazia maschile. Comunque, tra le informazioni che ci trasmettono ce n’è una a mio parere fondamentale, e cioè che il sapere delle donne sulla vita abbraccia l’intero arco di permanenza della specie sulla terra a partire dai suoi esordi. Gli organismi femminili conservano nelle profondità del loro corpo i ricordi delle innumerabili esperienze attraverso le quali hanno costruito se stesse e la specie.
Meno note sono le ricerche che confermano lo stretto legame tra maternità e attività di cura da una parte ed evoluzione mentale dall’altra, chiarito dalla teoria del corpo pensante.
Alcune ricerche condotte sui mammiferi hanno dimostrato che durante la gravidanza, la nascita e l’allattamento le fluttuazioni ormonali producono benefici cambiamenti strutturali nel cervello materno che durano fino alla vecchiaia. I ricercatori hanno cominciato a capire che “lo sviluppo del comportamento materno sia stato uno dei principali motori dell’evoluzione cerebrale nei mammiferi” e che “la mano – o la zampa – che fa dondolare la culla è quella che regge il mondo” [Nota 7]. Ma i benefici mentali delle attività di cura si estendono anche alle femmine non ancora madri e ai maschi. Il discorso è particolarmente pregnante per gli uomini, a cui prendersi cura di sé e degli altri permetterebbe di attingere almeno in parte conoscenze sulla vita.
Le ricerche sul dimorfismo cerebrale fra i sessi [Nota 8] sono state divulgate, ma sminuite, spesso banalizzate e svuotate del loro vero significato. La mappa cerebrale, che gli scienziati hanno ricavato dall’uso di nuove tecnologie, in realtà assegna al cervello femminile notevoli punti di vantaggio e marca differenze tali che il Prof. Pancheri parla addirittura di “razza dei sessi” [Nota 9]. Le ricerche evidenziano un cervello femminile più sviluppato e più plastico, con una significativa estensione, dovuta ad una maggiore percentuale di sostanza grigia, di quelle aree che sovrintendono al comportamento e alla valutazione critica; un cervello più attivo sia a riposo che sotto stimolo e caratterizzato da un grande equilibrio - dovuto ad una maggiore simmetria nella distribuzione della materia grigia e ad una comunicazione interemisferica facilitata - [Nota 10] capace di tradursi in una visione ampia, organica ed equilibrata di sé e del mondo e di dare risposte più complesse agli stimoli emotivi.
Si suppone che un encefalo siffatto sia in grado di mantenere l’aggressività a livelli bassi. Studi recenti sulle emozioni, indagando il funzionamento della corteccia orbitofrontale coinvolta nei comportamenti aggressivi, hanno confermato tale assunto. Ad un gruppo formato da femmine e maschi era stato chiesto di evocare comportanti aggressivi. E’ emerso che le donne inibiscono l’aggressività molto prima di esprimerla, nel momento stesso di pensarla, la qualcosa spiega perché i comportamenti aggressivi femminili siano così poco frequenti [Nota 11]. L’enorme valenza civile dei freni imposti dalla mente femminile all’aggressività non può più essere sottovalutata perché rappresenta, io credo, la linea di demarcazione tra civiltà e barbarie.
Restano in ombra le ricerche riguardanti l’imprinting genomico e non è difficile capire perché. Nel 1997 il genetista Keverne [Nota 12] rende noti studi sperimentali di genetica che scoprono i differenti ruoli che i genomi materno e paterno giocano nello sviluppo e nella crescita del cervello. La scoperta è sensazionale perché attribuisce esclusivamente ai geni materni la formazione della corteccia cerebrale. La parte del cervello che gioca un ruolo centrale nelle funzioni mentali complesse è codificata solo dal DNA materno. Sono insomma le donne ad aver sviluppato e donato a tutta la specie uno strumento essenziale a far emergere quelle facoltà che ci contraddistinguono.
In più gli studi suddetti riconoscono che la creazione dell’embrione è facoltà delle sole femmine, confermandone ancora una volta la priorità; ora, poiché la corteccia è, come abbiamo visto, espressione dei geni materni, non si può più misconoscere che tale creazione sia intelligente. Se è vero com’è vero che la possibilità per la nostra specie, come per le altre, di venire al mondo, rimanere in vita ed evolversi è dipesa e dipende dall’opera creativa ed attiva degli organismi in grado di riprodursi, la procreazione e la cura non possono che essere le attività in assoluto più intelligenti.
Il quadro d’insieme delle ricerche sopra riportate rimanda un’idea di corpo femminile affatto diversa rispetto a quella che ne dà il patriarcato. Ho scelto apposta, fra le innumerevoli ricerche prodotte in tutto il mondo, quelle che rovesciano letteralmente la rappresentazione maschile di donna e di maternità. Secondo me occorre prenderle in seria considerazione perché corrispondono alla nostra concreta esperienza e perché provengono da fonte non sospetta, quel mondo maschile che non ha mai smesso di perseguire la cancellazione della donna. Le ho inserite nei miei saggi, convinta che le conoscenze fornite possano rinvigorire come linfa vitale la fiducia in sé delle donne, gravemente indebolita dal millenario governo dei padri. In effetti è salutare inserirsi nelle pieghe delle loro contraddizioni e scoprire come i maschi siano costretti, loro malgrado, a riconoscere la menzogna su cui hanno incardinato l’intero sistema di potere.
Ma le donne in genere, invece di usare l’aiuto insperato che le ricerche involontariamente offrono per recuperare autonomia e autorevolezza, le rifiutano a priori tacciandole di “biologismo”, mostrando con ciò di continuare a muoversi all’interno dei parametri interpretativi maschili. Sullo sfondo rimane, infatti, la separazione tra cultura e natura e la conseguente inferiorizzazione di quest’ultima. Usando le categorie mentali maschili che deturpano, distorcono, capovolgono il reale rendendolo inintelligibile, le donne finiscono per sostenere il disegno esistenziale maschile che, riducendo il corpo vivente a cosa inerte, rinnega la vita a favore di un mondo artificiale.
Il problema riguarda tutte, ma solo alcune sostengono apertamente l’insana opzione maschile per un mondo di morti-viventi. Per realizzarsi e superare la guerra dei sessi le sostenitrici dell’homo cyberneticus suggeriscono alle donne di “alleggerirsi” del corpo e rinunciare “al diritto esclusivo di procreazione”, affidandosi a “grembi bio-elettronici in grado di portare avanti la gestazione degli esseri umani” [Nota 13]. Secondo loro tutte noi dovremmo realizzare, consenzienti, il desiderio maschile di annullarci una volta per tutte. Ora sappiamo che alla base dei tentativi maschili di liberarsi delle donne c’è un’abissale ignoranza della vita e la confusione tra vivente e non vivente. Le relazioni che la madre intrattiene con il feto vanno ben oltre il mero nutrimento, perciò affidare gli embrioni alle macchine, sottoforma di concepitori e grembi artificiali, significa consegnarli al freddo abbraccio della morte.
La mente maschile produce mostri perché non sa nulla delle esperienze che lungo un faticoso e pericoloso cammino hanno dato forma al nostro organismo e ci hanno garantito la sopravvivenza e l’evoluzione. Questo sapere è invece immagazzinato nel profondo del corpo femminile e lo struttura dall’interno. Per recuperarlo è necessario sostituire il pensiero unico maschile - che rispecchia una visione del mondo parziale, riduttiva, non rispondente al vero - con un sistema concettuale che tenga la dimensione naturale in ben altra considerazione. Nel mio primo saggio scrivevo: “Per trovare il coraggio di attaccare le roccaforti del pensiero maschile bisogna acquisire la coscienza della propria forza e centralità, per dirottare la riflessione e il fare della specie dalla conflittualità alla connessione, dalla morte alla vita, bisogna centrare lo sguardo sulla nascita e la maternità, quindi, in ultima analisi, sulla corporeità. Il corpo della donna, la sua biologia sono le inesauribili fonti dello sviluppo della sua mente, sono la sua carta vincente” [Nota 14].
Avendo individuato e descritto i perversi meccanismi che alimentano il sistema di pensiero maschile avverso alla vita, la teoria del corpo pensante offre strumenti formidabili per il suo superamento e per la ricostruzione dell’assetto cognitivo delle donne, le uniche in grado di intendere e parlare il linguaggio della vita.
Note
- Angela Giuffrida – Il corpo pensa. Umanità o Femminità? - Prospettiva Edizioni
- Hans Jonas – Organismo e libertà – Biblioteca Einaudi – pag. 105
- Angela Giuffrida – La razionalità femminile unico antidoto alla guerra – Bonaccorso editore 2011
- Alla scoperta del cervello chimico è dedicato il capitolo V de Il corpo pensa
- Candace Pert – Molecole di emozioni – Corbaccio
- Il corpo pensa, op. cit. pag. 35
- Il cervello materno su Le Scienze di marzo 2006 commentato ne La razionalità femminile da pag. 326 a pag. 334
- Il corpo pensa op. cit. cap. IV
- La razza dei sessi – editoriale del Giornale Italiano di psicopatologia dic. 1999 n. 4 vol. 5
- E’ stata riscontrata anche una maggiore comunicazione fra i neuroni, grazie a un neuropil più sviluppato. Il neuropil è lo spazio fra i corpi delle cellule, che contiene sinapsi, dendriti e assoni, e rende conto della comunicazione fra neuroni
- Ricciardi, Gentili, Watson, Petrini – Verso la comprensione delle differenze di genere – in Problemi in Psichiatria n. 3504
- Eric Barry Keverne – Genomic imprinting in the brain, in Current opinion in Neurobiology, n. 7, 1997
- Arianna Dagnino – Uoma – Mursia pag. 28
- Il corpo pensa pagg. 247, 248