Crisi

(Differenze fra le revisioni)
m (La proposta di un piano economico nazionale)
m (La proposta di un piano economico nazionale)
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* risparmi sulla manutenzione ambientale in quanto elemento di contrasto al cambiamento climatico (frane, alluvioni, perturbazioni estreme)
 
* risparmi sulla manutenzione ambientale in quanto elemento di contrasto al cambiamento climatico (frane, alluvioni, perturbazioni estreme)
 
* risparmi sulle spese per la salute in quanto prevenzione alle patologie tumorali, cardio vascolari, del diabete, psichiatriche
 
* risparmi sulle spese per la salute in quanto prevenzione alle patologie tumorali, cardio vascolari, del diabete, psichiatriche
* sviluppo di una agricoltura urbana e periurbana con decongestionamento delle aree metropolitane
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* fiorire di una agricoltura urbana e periurbana con decongestionamento delle aree metropolitane
 
* prevenzione dell'aumento dei costi della agricoltura chimica basata sul petrolio da cui dipendono interamente carburanti, fertilizzanti, fitofarmaci
 
* prevenzione dell'aumento dei costi della agricoltura chimica basata sul petrolio da cui dipendono interamente carburanti, fertilizzanti, fitofarmaci
 
* risparmio energetico grazie alle filiere corte (bolletta petrolifera nazionale)
 
* risparmio energetico grazie alle filiere corte (bolletta petrolifera nazionale)

Versione delle 11:00, 27 feb 2014

Indice

Una bozza di programma economico per l'Italia

Nell'intervenire sulle reti nazionali che si intrecciano di

  • economia,
  • cultura scienza arte informazione,
  • politica istituzionale e partecipativa,

la massima attenzione va posta sulle sinergie. Le sinergie, come avviene negli eco-sistemi, garantiscono l'efficienza-efficacia e la sopravvivenza. Le tre reti sociali della produzione di beni e servizi, della scuola e della cultura, delle riforme istituzionali in direzione di una larga partecipazione ideale, culturale, politica, emozionale che vitalizzi l'intera comunità nazionale, sono strettamente intrecciate. Un altro principio, derivato dal puro buon senso e dalla necessità di risparmiare risorse, consiste nel focalizzare gli sforzi di coordinamento e finanziari sui settori che dimostrano maggiore vitalità anzichè disperdere le risorse finanziarie e organizzative (umane) in interventi "a pioggia" che oltre ad essere sterili servono solo a salvarsi la coscienza e raccogliere uno scarso consenso politico-elettorale. Gli interventi vanno mirati su pochi settori che dimostrino fitness e che poggino su prototipi testati a sufficienza. Il punto di partenza del programma "economico" nazionale è il fallimento conclamato della politica liberista, del ventennio berlusconiano. Forse poteva essere una strada che meritava di essere tentata. Ora è chiaro (FIAT lux) che bisogna creativamente guardare a nuove strade. Una di queste, che ci ha sempre sostenuto, è la cooperazione. La proposta è di rivitalizzare la cooperazione nell'economia nazionale, facendo in modo che sostenga l'economia della concorrenza (quella del libero mercato, della globalizzazione, dei mercati internazionali), nella prospettiva che sia il libero mercato a lavorare per la cooperazione. Le motivazioni di questa proposta sono in questa pagina web, esattamente qui:

La proposta di un piano economico nazionale

Gli interventi sono quattro, tutti riguardano l'economia cooperativa. L'economia tradizionale (capitalistica) si può raccordare facilmente a queste "isole" cooperative come già ha iniziato a fare, stando attenti a non soffocarle sui propri obiettivi di profitto e valorizzandone la diversità "culturale". Nella cutura cooperativa viene considerato "profitto" il "risparmio" energetico, ambientale, umano, del tempo di lavoro. Le priorità vanno da (1) a (4). Il fatto di dare la priorità all'agricoltura, quella organica s'intende, è la piccola necessaria, difficile, "rivoluzione culturale" di partenza.

  • (1) Agricoltura organica (biologica, biodinamica, sinergica, altro) per una alimentazione di qualità e una certa autonomia alimentare
  • (2) Nuove tecnologie cooperative sostenibili basate sui Fab Lab e la rete dei Makers
  • (3) Sviluppo del turismo sostenibile e del turismo culturale ad uso nazionale e internazionale
  • (4) Ristrutturazione della scuola e della ricerca (università)

(1) Lo sviluppo di una agricoltura organica significa che si sviluppano contemporaneamente:

  • occupazione, soprattutto giovanile, dall'attuale 5% ad un prevedibile 10% con conseguente rilancio dei consumi dei giovani
  • preparazione di un target ambientale-turistico-paesaggistico-culinario di alto profilo (un prototipo potrebbe essere la Regione Toscana)
  • risparmi sulla manutenzione ambientale in quanto elemento di contrasto al cambiamento climatico (frane, alluvioni, perturbazioni estreme)
  • risparmi sulle spese per la salute in quanto prevenzione alle patologie tumorali, cardio vascolari, del diabete, psichiatriche
  • fiorire di una agricoltura urbana e periurbana con decongestionamento delle aree metropolitane
  • prevenzione dell'aumento dei costi della agricoltura chimica basata sul petrolio da cui dipendono interamente carburanti, fertilizzanti, fitofarmaci
  • risparmio energetico grazie alle filiere corte (bolletta petrolifera nazionale)

(2)

La fine della crescita

Gennaio 2014. Di Mauro Bonaiuti. Cari amici e amiche, vi allego un mio breve intervento nel dibattito sulla "fine della crescita," partito dagli Stati Uniti e che ha avuto anche eco in Italia (Micromega, Repubblica, Sbilanciamoci). Credo che si tratti di un passaggio importante, forse destinato a lasciare un segno nella politica economica e ad avere ripercussioni sia all'esterno che all'interno del mondo della decrescita.... E infatti la prima volta che in contesto ufficiale si allude ad una "fine della crescita" e credo non ci sia bisogno di spiegare che non si tratta di una cosa di poco conto, visto che tutta l'economia e le società capitaliste funzionano grazie alla crescita, e sul suo altare sono già stati offerti molti sacrifici. Inoltre (per quanto molti nel mondo della decrescita non ne siano ancora consapevoli) credo che la possibilità che i nostri obiettivi di trasformazione sociale (per quanto giusti, sostenibili, ecc.) trovino risposte ed attecchiscano nella società più vasta sia indissolubilmente legata al permanere e anzi all'aggravarsi della crisi. Mi piacerebbe avere una vostra opinione sul tema e, se lo ritenente opportuno, un vostro contributo per allargare il dibattito sul tema... nel frattempo sto anche inviando l'articolo ad alcune testate - prime fra tutte Comune.info e Altreconomia, Micromega e Sbilanciamoci (altri suggerimenti?) per provare ad allargare la discussione. Un abbraccio, Mauro Buonaiuti

La soluzione alla crisi

  • abbandonare il principio esclusivo e dogmatico della redditività del capitale, principio ormai impossibile e violato nei fatti dell'economia occidentale secondo le dichiarazioni di Lawrence Summers e Paul Krugman (vedi La Fine della Crescita),
  • sostituirlo con la valutazione di utilità sociale del prodotto ( possibile con la rete ) ,
  • eliminare strumenti fatti per render esclusivo e totalitario il meccanismo capitalista ( il brevetto, la proprietà intellettuale )

Corrispode in pieno a quanto proposto nello:

La soluzione significa entrare in una economia "mista", capitalistica in parte e in parte cooperativa. Non considerare la logica del profitto come una logica esclusiva ed unica imposta come un dogma dalla scuola economica liberista. Si può mantenere, se si vuole, una cultura produttiva capitalistica ma controllata in modo democratico dalla società civile e soprattutto rispettosa dell'ambiente in modo intransigente. Esiste il settore dell'economia di cura, dell'agricoltura organica, della cultura, dell'economia domestica che sfuggono in parte o totalmente dalle logiche di profitto. In questi settori già preponderanti si può lavorare senza perdite e senza guadagni su obiettivi socialmente condivisi e utili alla comunità. In questa direzione di sviluppo sostenibile è l'economia capitalistica che umilmente e gradualmente comincia a lavorare per l'economia cooperativa (che è sempre esistita dalla notte dei tempi ed è la base necessaria alla sopravvivenza della specie). Una volta raggiunto l'obiettivo, spegnersi "economicamente" nel senso attuale dell'economia liberista come puro calcolo quantitativo. Attivarsi invece sul piano emotivo-cognitivo, sociale, spirituale, scientifico; e mirare alla Manutenzione-Produzione-Riproduzione di quanto costruito. Manutenzione che sarà l'obiettivo principale dei progetti. Ad esempio, se si fa una casa la si fa in modo che chi la abiterà possa gestirla, mantenerla, svilupparla, modificarla. Il resto è tempo libero, ozio creativo.

Il giudizio del Telegraph sull'economia Italiana

La nazione è più ricca della Germania in termini di ricchzza pro capite, con circa 9 trilioni di Euro di ricchezza privata. L'Italia ha il più grande avanzo primario di bilancio del blocco G7. Il suo debito combinato pubblico e privato è 265/% del PIL, inferiore a quello in Francia, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone. Ha i punteggi migliori dell'indice del Fondo monetario internazionale per "sostenibilità a lungo termine del debito" tra i principali paesi industrializzati, proprio perché ha riformato da tempo la struttura delle pensioni con Silvio Berlusconi. "Hanno un vivace settore delle esportazioni, e un avanzo primario. Se c'è un paese nell'UE che potrebbe trarre beneficio dal lasciare l'euro e ripristinare la competitività, è ovviamente l'Italia ", ha detto Andrew Roberts da RBS (Royal Bank of Scotland). "I numeri sono li da guardare in faccia. Pensiamo che la storia del 2013 non sia di quali paesi saranno costretti a lasciare l'UE, ma quali sceglieranno di lasciare la UE o la sua moneta" Uno studio condotto da Bank of America basato sulla "teoria dei giochi", ha concluso che l'Italia avrebbe guadagnato più di altri membri dell'UE liberandosi e ripristinando il controllo sovrano sulle sue leve politiche.

Nota di ortosociale

Naturalmente la riforma delle pensioni di Silvio Berlusconi e la sua politica incoscientemente liberista (ed identica a quella di Monti) non sono stati nè saranno mai una soluzione alla crisi. Nemmeno abbandonare la possibilità di una unione politica federalistica della UE lanciandosi in un avventurismo internazionale con figure come Putin o il defunto Gheddafi e le forze economiche da loro rappresentate.

Un nuovo indice oltre al PIL per valutare le Nazioni e la loro economia

Esaminando l'andamento trentennale delle economie di 20 nazioni, uno studio ridimensiona le prestazioni di diversi paesi, dato che sono state realizzate erodendo il capitale naturale, e quindi in modo insostenibile. Per questo l'UNEP ha proposto un nuovo indicatore che sostituisca il PIL e contabilizzi le fonti del benessere dei paesi, includendo oltre al capitale industriale anche quello naturale, umano e di capacità di innovazione tecnologica

Il punto di vista di SOCIAL EUROPE JOURNAL

di Paolo Borioni - SOCIAL EUROPE JOURNAL 04/12/2012 - Italia: dalla recessione a una nuova identità socio-economica. Questo articolo fa parte di un paper più grande di uscita imminente che l'autore ha scritto insieme a Ronny Mazzocchi per la Friedrich Ebert Stiftung. Fa anche parte della strategia di crescita di esperti europei di informazione organizzata congiuntamente da Social Europe Journal, dalla Friedrich-Ebert-Stiftung, dalla Bertelsmann Stiftung, dal IMK del Boeckler Hans Stiftung e dall'Istituto sindacale europeo (ETUI - European Trade Union Institute).

Italia: dalla recessione a una nuova identità socio-economica

L'origine della crisi economica italiana è, manco a dirlo, molto più globale della crisi italiana. Un'economia come quella italiana così notevolmente dipendente dalle esportazioni industriali non poteva rimanere insensibile alle conseguenze depressive della crisi e, ancor più, dai risultati soffocanti delle misure di austerità imposte in tutta l'UE, comprese quelle del governo tecnocratico di Monti. L'Italia è stata la nazione occidentale a più rapida crescita nel periodo 1950-1990. Anche se questo era dovuto in parte alla sua identità di esordiente (i bassi salari hanno aiutato la competitività), molti altri fattori hanno avuto un ruolo significativo. Poche grandi imprese private (Fiat, Pirelli, Olivetti e qualcun'altra) e grandi aziende di proprietà pubblica (Ansaldo-Breda, Fincantieri, Eni, Enel per citarne alcune), hanno provveduto a fornire investimenti a lungo termine e innovazione. Tra questi due pilastri la cosiddetta "terza Italia", ha dato alla luce un sacco di PMI (piccole e medie imprese). Queste hanno fornito all'economia la tanto decantata "specializzazione flessibile", cioè una catena in gran parte formale, ma in parte anche "informale", di produttori collegati a imprese manifatturiere su larga scala nazionali e straniere, in grado di adattarsi rapidamente all'evoluzione della domanda globale e nazionale. 5000 di queste PMI hanno sviluppato alla fine un innegabile successo economico, qualcosa di molto simile al Mittelstand tedesco. Oggi, hanno assicurato che il paese è riuscito a realizzare un surplus commerciale nel corso degli ultimi mesi - sebbene fosse anche richiesto una capacità di produzione. Tuttavia, il resto delle PMI ha sofferto eccessivamente delle novità degli ultimi trent'anni: neoliberismo, finanziarizzazione, i parametri Euro rigidi e ossessionati dall'inflazione. La finanziarizzazione e in certa misura anche la globalizzazione hanno convinto grandi imprese come la Fiat a ritirare gli investimenti innovativi e a lungo termine dal panorama italiano. Il neoliberismo ha incrementato questo processo screditando la fornitura a lungo termine di R & S (Ricerca e Sviluppo) da parte di grandi imprese pubbliche, nonostante l'evidenza che alcune imprese coinvolte (per lo più sotto l'ombrello di Finmeccanica ed Eni) fossero indiscutibili esempi di innovazione globale. Inoltre, i rigidi parametri Euro hanno ostacolato la domanda interna UE e impedito che la svalutazione della lira venisse utilizzata come strumento temporaneo di competitività. Prima della crisi, l'Italia rimaneva un paese industriale con pochisssima inclinazione alla finanziarizzazione a breve termine e all'indebitamento (a differenza di Gran Bretagna, Spagna e, in misura minore, in Germania). Aveva bisogno di più decenni dopo "i gloriosi trenta" seguiti alla seconda guerra mondiale per liberarsi delle caratteristiche "nuove arrivate", mentre invece la finanziarizzazione e il neoliberismo trionfavano. Con questo il pubblico investimento a lungo termine diminuiva, così come la capacità della nazione di favorire l'innovazione che le PMI avevano lottato per raggiungere da sole. Come risultato, molte PMI rimasero piccole e spesso incapaci di pianificazione a lungo termine. Così il minor costo del prestito di denaro sopraggiunto negli anni post-Euro non poteva essere strategicamente messo in uso. Di conseguenza, la maggior parte dei produttori italiani e fornitori di servizi torna indietro in modo miope alle tipiche caratteristiche precedenti (mercato del lavoro informale, tolleranza nei confronti degli evasori fiscali). Quindi, per una gran parte dell'economia italiana, inizia un circolo vizioso: più (specialmente nel Mezzogiorno meridionale) sono presenti questi fattori minori sono gli incentivi per l'innovazione di lungo periodo. Di conseguenza, l'umore generale si è collegato a queste contraddizioni sociali: vale a dire sentirsi bloccati dopo essere cresciuti per diversi decenni. Queste sono anche le radici sia dell'enorme debito pubblico che degli orribili anni di Berlusconi. La crescita del welfare state e molto probabilmente il più veloce invecchiamento della popolazione in tutto il mondo avrebbe richiesto proprio la raccolta di tutti gli introiti fiscali che l'economia avrebbe potuto permettersi. Ma le suddette ragioni economiche strutturali hanno reso impraticabile questa opportunità. Diversi governi Berlusconi hanno lasciato milioni di piccole e medie imprese bisognose di rassicurazioni in questa epoca di ansietà multiple, soprattutto dopo la caduta nel 1993 della Democrazia Cristiana (il naturale partito di governo moderato in Italia nel 1945-1992). Ogni spiegazione (in primo luogo il mito di una democrazia condizionata da un lavaggio del cervello via TV, o di un pubblico indifferente alla corruzione e agli scandali) è assolutamente semplicistica (e nel lungo termine sciocca). Inoltre, il "mercantilismo" tedesco ha peggiorato la situazione. La diminuzione impressionante dei bassi salari tedeschi e l'aumento relativamente insufficiente di quelli alti, hanno privato l'Unione europea (e un paese manifatturiero come l'Italia rivolto all'export più di altri Stati membri dell'Unione europea) del suo più importante mercato d'esportazione. Quindi, quando la crisi globale è arrivato, l'Italia non poteva evitare di essere in gran parte impreparati. Anche se lo sviluppo democratico e sociale del 1945-1990 rende ancora l'Italia un paese con grandi prospettive per il futuro, sono invece innegabili le debolezze presenti. Per esempio, l'ipotesi che gli italiani abbiano vissuto oltre le proprie possibilità è in gran parte falso. Il debito pubblico in Italia è in gran parte bilanciato da uno dei più alti rapporti di risparmio del mondo, a differenza di molti altri paesi. Dopo aver esaminato il lungo viaggio dell'Italia alla sua situazione attuale, l'elenco delle soluzioni almeno è piuttosto breve. L'Italia ha bisogno prima di tutto di tre tipi di misure:

  1. le risorse accumulate in ricchezza privata e in parte mediante sleale comportamento fiscale devono essere tassate molto di più (cioè tassate secondo le regole). Questo, però, non deve essere (né venir percepito) come punitivo, ma deve essere graduale per prevenire la morte improvvisa di troppe piccole e medie imprese. Le nuove entrate devono alimentare la domanda (derivante dal basso e, quindi, una più equa distribuzione e pre-distribuzione) e, soprattutto, finanziare migliori sussidi di disoccupazione e migliori politiche attive del mercato del lavoro, più l'innovazione. In sintesi, tali misure tendono a rimuovere gli incentivi sbagliati alla produzione basata su un basso costo della manodopera, mentre invece migliorano la parità tra le parti del mercato del lavoro e potenziano una sistematica innovazione.
  2. Una nuova "Regola d'oro" deve essere negoziata come parte di un nuovo accordo europeo sulla sostenibilità del bilancio pubblico. Parte del deficit dello Stato deve essere autorizzato a star fuori dei parametri Euro, al fine di alimentare gli investimenti in infrastrutture, innovazione ecologica ecc in modo strettamente finalizzato allo scopo e strettamente monitorato a livello UE.
  3. i bassi salari tedeschi e dell'UE devono crescere in modo significativo, ad esempio, attraverso un salario minimo UE come quello che Thorsten Schulten propone. Ciò può solo in parte causare inflazione in Germania: tassi di interesse negativi sui Bund (titoli di stato tedeschi) hanno già conseguenze inflazionistiche. Poiché una maggiore parità di reddito in Germania potrebbe trascinare l'Italia fuori dalla recessione, la fiducia nel debito pubblico italiano potrebbe tornare a livelli accettabili, e questo potrebbe fermare in misura maggiore il flusso irrazionale degli investimenti in Bund tedeschi, e quindi a disattivare una inflazione non guidata dai salari. Di conseguenza, un'inflazione tedesca controllabile e "buona" sarà il solo risultato di una maggiore domanda tedesca guidata dai salari. Insieme a una gestione razionale della crisi del debito, questi tre tipi di misure potrebbero contribuire alla ricostruzione dell'economia e della società italiane. La soluzione corrisponde alla natura dell'Italia, quella di un paese duplice: per lo più sviluppato, ma in parte non sviluppato, per lo più legale, ma in gran parte "informale", democraticamente avanzata e al tempo stesso esposto a instabilità politica e populismo.

Nota di ortosociale

L'analisi in chiave economica ma anche socio-politica è buona. Sfata alcuni miti come quello degli italiani che si fanno lavare il cervello dalla TV (hanno votato Berlusconi perchè convinti che un liberismo senza impacci gli portasse benessere) o degli italiani che hanno vissuto sopra alle loro possibilità (il tasso di risparmio degli italiani è tra i più alti nel mondo). Ma quando si arriva alle proposte positive si cade nell'irrealtà. L'articolo non dice nulla sulla "finanziarizzazione" e da dove nasce. Non spiega il nesso tra finanziarizzazione, mancata lotta all'evasione fiscale, bassi salari, contrasto ad ogni possibilità inflazionistica perchè eroderebbe i PROFITTI capitalistici (finanziarizzati). Insomma non spiega la politica monetarista del liberismo attuale. Ma chiede di rovesciarla. Come sarebbe possibile tutto questo? Le tre misure richieste sono dei pii desideri:

  1. combattere l'evasione fiscale in Italia è un compito impossibile per l'attuale sistema dei partiti
  2. mantenere il debito pubblico agli attuali livelli bloccherebbe gli investimenti dovuti alla finanziarizzazione. Non servono "regole d'oro" europee quando la finanza europea deve difendersi dalla speculazione finanziaria "globalizzata" che alla fine comanda.
  3. chiedere alla Germania di alzare e pareggiare i suoi salari è pura follia, come è pura follia tentare di condizionare in qualche modo il più potente stato occidentale. Non ci sono riusciti gli USA di Obama. In un regime di competizione come il mercato globale chi vince (la Germania) fa necessariamente perdere gli altri. La Grecia dimostra con la sua crisi terribile che nell'arena internazionale non c'è spazio per la cooperazione e il mutuo aiuto. Gli spread italiani smentiscono questa possibilità. Che poi questo possa durare indefinitamente per la Germania è un'altra questione. Ma i primi a rimetterci siamo noi, italiani e latini. Potremo sempre fargli da camerieri o lacchè.

Soprattutto si parla in continuazione di "innovazione". Ma l'innovazione in una economia competitiva come quella capitalistica è un gioco dove c'è chi vince e c'è chi perde. Quello che uno vince un altro perde. E' il contrario della cooperazione e di uno sviluppo equilibrato. E' il contrario del risparmio delle risorse naturali e umane. Se l'Italia aumentasse le sue esportazioni, secondo la vecchia logica manifatturiera, qualcun altro le diminuirebbe. Se l'Italia richiamasse capitali speculativi (dalla finanziarizzazione) qualcun altro li vedrebbe volarsene via. Manca completamente una logica di cooperazione internazionale e di sviluppo equilibrato delle risorse naturali. Manca anche in questa analisi e in queste proposte. E' triste che degli ottimi analisti, peraltro in buona fede e attenti, non si rendano conto che la crisi è molto più profonda e richiede una transizione decisa di uscita dal capitalismo così come lo conosciamo.

Il declino del sistema capitalistico

Quando un sistema è in declino fa vari tentativi per ristabilire la sua vitalità e sostituire le risorse venute a mancare con nuove risorse (in genere umane). La crisi, a chi la osservi dall'esterno in modo distaccato e senza dare giudizi di valore, si presenta come il fallimento di tutti questi tentativi, sempre più massicci, disperati, pesanti. Come un dinosauro caduto nelle sabbie mobili, ogni tentativo di uscirne peggiora la situazione.

  • crisi del 1929 porta alla II guerra mondiale. Hitler, alfiere del capitalismo tedesco e maestro con Hjalmar Schacht di una finanza creativa che usa i soldi delle pensioni dei lavoratori tedeschi per finanziare il riarmo, tenta un suo primo modello di globalizzazione, versione 1, con il debole partner italiano e il forte partner giapponese (entrato vigorosamente nell'etica capitalistica). Come Carlo V (vedi nel seguito) non ha molto successo. Seguono i magnifici trenta , dal 1945 al 1975. Ma segue anche lo spettro della distruzione della specie umana, e non solo, con lo sviluppo di un potenziale termonucleare capace di distruggere centinaia di volte ogni forma di vita. Come un organismo "intelligente" ed "evoluto" sia arrivato a concepire un simile piano sarà materia di studio per i nostri nipoti. La soluzione, la seconda guerra mondiale, ha peggiorato la situazione. Le risorse vengono impiegate nella corsa agli armamenti nucleari fino al demenziale piano Reagan di uno scudo stellare.
  • crisi del 1973, choc petrolifero; si comincia a prendere coscienza dei limiti dello sviluppo e della finitezza delle risorse energetiche. Soluzione: sviluppo del nucleare e incentivazione del liberismo individualistico selvaggio. Ronald Reagan e Margaret Tathcer distruggono il welfare, la scuola monetarista dei Chicago boys di Milton Friedman, attraverso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, impongono ai paesi l'apertura dei loro mercati alla finanza ed ai beni prodotti dai paesi "avanzati". I paesi del sud del mondo sono impoveriti da debiti enormi e il loro sviluppo economico e politico soffocato (Cile, Salvador Allende). E' la globalizzazione, versione 2. L'indebitamento sovrano (delle finanze statali) si estende ai paesi più ricchi, USA e Giappone. Si arriva ad una situazione di indebitamento generale ed allo sconvolgimento antropologico delle economie locali con la distruzione di tutte le culture produttive locali.
  • sviluppo del capitalismo-comunismo cinese. Inizia un aumento "a due cifre" del PIL della Cina governata dal Partito Comunista. Wall Mart, la più grande catena di distribuzione al mondo (supermercati) le commissiona tutti i beni che vende. Ma l'inquinamento aumenta, la protesta sociale pure, la carta straccia (dollari) con cui vengono pagati i cinesi comincia a pesare nelle tasche dei "nuovi mandarini" che spediscono sconcertati ex-contadini a girare il mondo per comprare bar e negozietti di paccottiglia. Nel 2012, stante l'arresto dei consumi nel mondo ricco, lo sviluppo del PIL cinese diventa di una sola cifra (credo lo 8%). E' ancora alto, certo. E la felicità dei cinesi?
  • crisi del 2008. Fallisce la General Motors, la più grande impresa industriale del mondo, poi rimessa in vita artificialmente dal governo federale USA. Falliscono per la prima volta banche ed assicurazioni. Tutto il sistema bancario, assicurativo, finanziario è intriso di debito. Attraverso i "derivati" si finanziarizzano i debiti. Attraverso i derivati si vendono quote di inquinamento CO2: chi ne produce poca vende la sua quota a chi ne produce "troppa". In pratica i problemi finanziari (economici) e ambientali vengono risolti in modo finanziario. Per far ripartire banche, finanza, produzione, investimenti, Ben Bernanke , capo della FED americana, dichiara : "abbiamo le chiavi della macchina per stampare i soldi, e non ci spaventa l'idea di usarle". Questo ha comportato che gli USA sono debitori di svariati triliardi di dollari ai paesi da cui importano praticamente tutto. La Cina popolare, neo-gigante economico come un tempo il Giappone alleato di Hitler, ha sul groppone il prodotto della "macchina per stampare" di Ben Bernanke, che a sua volta rifila in tutto il mondo, Europa, Asia, Africa, con le valigette di Bond americani o europei. Così il debito viaggia, sotto mentite spoglie. Il ciclo si chiude: un paese nato dall'ortodossia marxista si trova a gestire la riproduzione allargata del capitale e dei suoi profitti.
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