Crisi

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m (UN nuovo indice oltre al PIL per valutare le Nazioni e la loro economia)
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Esaminando l'andamento trentennale delle economie di 20 nazioni, uno studio ridimensiona le prestazioni di diversi paesi, dato che sono state realizzate erodendo il capitale naturale, e quindi in modo insostenibile. Per questo l'UNEP ha proposto un nuovo indicatore che sostituisca il PIL e contabilizzi le fonti del benessere dei paesi, includendo oltre al capitale industriale anche quello naturale, umano e di capacità di innovazione tecnologica
 
Esaminando l'andamento trentennale delle economie di 20 nazioni, uno studio ridimensiona le prestazioni di diversi paesi, dato che sono state realizzate erodendo il capitale naturale, e quindi in modo insostenibile. Per questo l'UNEP ha proposto un nuovo indicatore che sostituisca il PIL e contabilizzi le fonti del benessere dei paesi, includendo oltre al capitale industriale anche quello naturale, umano e di capacità di innovazione tecnologica
 
*[http://www.lescienze.it/news/2012/06/18/news/pil_prodotto_interno_lordo_economia_sostenibile_iwi_inclusive_wealth_index_erosione_capitale_natiurale_umano_innovazione_tec-1096008/ Da Le Scienze di Giugno]
 
*[http://www.lescienze.it/news/2012/06/18/news/pil_prodotto_interno_lordo_economia_sostenibile_iwi_inclusive_wealth_index_erosione_capitale_natiurale_umano_innovazione_tec-1096008/ Da Le Scienze di Giugno]
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==Il punto di vista dei sindacati europei==
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Italia: dalla recessione a una nuova identità socio-economica.
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di Paolo Borioni
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SOCIAL EUROPE JOURNAL 04/12/2012
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Questo articolo fa parte di un paper più grande di uscita imminente che l'autore ha scritto insieme a Ronny Mazzocchi per la Friedrich Ebert Stiftung. Fa anche parte della strategia di crescita di esperti europei di informazione organizzata congiuntamente da Social Europe Journal, dalla Friedrich-Ebert-Stiftung, dalla Bertelsmann Stiftung, dal IMK del Boeckler Hans Stiftung e dall'Istituto sindacale europeo (ETUI - European Trade Union Institute).
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testo:
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L'origine della crisi economica italiana è, manco a dirlo, molto più globale della crisi italiana. Un'economia come quella italiana così notevolmente dipendente dalle esportazioni industriali non poteva rimanere insensibile alle conseguenze depressive della crisi e, ancor più, dai risultati soffocanti delle misure di austerità imposte in tutta l'UE, comprese quelle del governo tecnocratico di Monti. L'Italia è stata la nazione occidentale a più rapida crescita nel periodo 1950-1990. Anche se questo era dovuto in parte alla sua identità di esordiente (i bassi salari hanno aiutato la competitività), molti altri fattori hanno avuto un ruolo significativo. Poche grandi imprese private (Fiat, Pirelli, Olivetti e qualcun'altra) e grandi aziende di proprietà pubblica (Ansaldo-Breda, Fincantieri, Eni, Enel per citarne alcune), hanno provveduto a fornire investimenti a lungo termine e innovazione. Tra questi due pilastri la cosiddetta "terza Italia", ha dato alla luce un sacco di PMI (piccole e medie imprese). Queste hanno fornito all'economia la tanto decantata "specializzazione flessibile", cioè una catena in gran parte formale, ma in parte anche "informale", di produttori collegati a imprese manifatturiere su larga scala nazionali e straniere, in grado di adattarsi rapidamente  all'evoluzione della domanda globale e nazionale. 5000 di queste PMI hanno sviluppato alla fine un innegabile successo economico, qualcosa di molto simile al Mittelstand tedesco. Oggi, hanno assicurato che il paese è riuscito a realizzare un surplus commerciale nel corso degli ultimi mesi - sebbene fosse anche richiesto una capacità di produzione. Tuttavia, il resto delle PMI ha sofferto eccessivamente delle novità degli ultimi trent'anni: neoliberismo, finanziarizzazione, i parametri Euro rigidi  e ossessionati dall'inflazione. La finanziarizzazione e in certa misura anche la globalizzazione hanno convinto grandi imprese come la Fiat a ritirare gli investimenti innovativi e a lungo termine dal panorama italiano. Il neoliberismo ha incrementato questo processo screditando la fornitura a lungo termine di R & S (Ricerca e Sviluppo) da parte di grandi imprese pubbliche, nonostante l'evidenza che alcune imprese coinvolte (per lo più sotto l'ombrello di Finmeccanica ed Eni) fossero indiscutibili esempi di innovazione globale. Inoltre, i rigidi parametri Euro hanno ostacolato la domanda interna UE e impedito che la svalutazione della lira venisse utilizzata come strumento temporaneo di competitività. Prima della crisi, l'Italia rimaneva un paese industriale con pochisssima inclinazione alla finanziarizzazione a breve termine e all'indebitamento (a differenza di Gran Bretagna, Spagna e, in misura minore, in Germania). Aveva bisogno di più decenni dopo "i gloriosi trenta" seguiti alla seconda guerra mondiale per liberarsi delle caratteristiche "nuove arrivate", mentre invece la finanziarizzazione e il neoliberismo trionfavano. Con questo il pubblico investimento a lungo termine diminuiva, così come la capacità della nazione di favorire l'innovazione che le PMI avevano lottato per raggiungere da sole. Come risultato, molte PMI rimasero piccole e spesso incapaci di pianificazione a lungo termine. Così il minor costo del prestito di denaro sopraggiunto negli  anni post-Euro non poteva essere strategicamente messo in uso. Di conseguenza, la maggior parte dei produttori italiani e fornitori di servizi torna indietro in modo miope alle tipiche caratteristiche precedenti (mercato del lavoro informale, tolleranza nei confronti degli evasori fiscali). Quindi, per una gran parte dell'economia italiana, inizia un circolo vizioso: più (specialmente nel Mezzogiorno meridionale) sono presenti questi fattori minori sono gli incentivi per l'innovazione di lungo periodo. Di conseguenza, l'umore generale si è collegato a queste contraddizioni sociali: vale a dire sentirsi bloccati dopo essere cresciuti per diversi decenni. Queste sono anche le radici sia dell'enorme debito pubblico che degli orribili anni di Berlusconi. La crescita del welfare state e molto probabilmente il più veloce invecchiamento della popolazione in tutto il mondo avrebbe richiesto proprio la raccolta di tutti gli introiti fiscali che l'economia avrebbe potuto permettersi. Ma le suddette ragioni economiche strutturali hanno reso impraticabile questa opportunità. Diversi governi Berlusconi hanno lasciato milioni di piccole e medie imprese bisognose di rassicurazioni in questa epoca di ansietà multiple, soprattutto dopo la caduta  nel 1993 della Democrazia Cristiana (il  naturale partito di governo moderato in Italia nel 1945-1992). Ogni spiegazione (in primo luogo il mito di una democrazia condizionata da un lavaggio del cervello via  TV, o di un pubblico indifferente alla corruzione e agli scandali) è assolutamente semplicistica (e nel lungo termine sciocca). Inoltre, il "mercantilismo" tedesco ha peggiorato la situazione. La diminuzione impressionante dei bassi salari tedeschi e l'aumento relativamente insufficiente di quelli alti, hanno privato l'Unione europea (e un paese manifatturiero come l'Italia rivolto all'export più di altri Stati membri dell'Unione europea) del suo più importante mercato d'esportazione. Quindi, quando la crisi globale è arrivato, l'Italia non poteva evitare di essere in gran parte impreparati. Anche se lo sviluppo democratico e sociale del 1945-1990 rende ancora l'Italia un paese con grandi prospettive per il futuro, sono invece innegabili le debolezze presenti. Per esempio, l'ipotesi che gli italiani abbiano vissuto oltre le proprie possibilità è in gran parte falso. Il debito pubblico in Italia è in gran parte bilanciato da uno dei più alti rapporti di risparmio del mondo, a differenza di molti altri paesi. Dopo aver esaminato il lungo viaggio dell'Italia alla sua situazione attuale, l'elenco delle soluzioni almeno è piuttosto breve. L'Italia ha bisogno prima di tutto di tre tipi di misure:
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<li>le risorse accumulate in ricchezza privata e in parte mediante sleale comportamento fiscale devono essere tassate molto di più (cioè tassate secondo le regole). Questo, però, non deve essere (né venir percepito) come punitivo, ma deve essere graduale per prevenire la morte improvvisa di troppe piccole e medie imprese. Le nuove entrate devono alimentare la domanda (derivante dal basso e, quindi, una più equa distribuzione e pre-distribuzione) e, soprattutto, finanziare  migliori sussidi di disoccupazione e migliori politiche attive del mercato del lavoro, più l'innovazione. In sintesi, tali misure tendono a rimuovere gli incentivi sbagliati alla produzione basata su un basso costo della manodopera, mentre invece migliorano la parità tra le parti del mercato del lavoro e potenziano una sistematica innovazione.
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<li>Una nuova "Regola d'oro" deve essere negoziata come parte di un nuovo accordo europeo sulla sostenibilità del bilancio pubblico. Parte del deficit dello Stato deve essere autorizzato a star fuori dei parametri Euro, al fine di alimentare gli investimenti in infrastrutture, innovazione ecologica ecc in modo strettamente finalizzato allo scopo e strettamente monitorato a livello UE.
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<li>i  bassi salari tedeschi e dell'UE devono crescere in modo significativo, ad esempio, attraverso un salario minimo UE come quello che Thorsten Schulten propone. Ciò può solo in parte causare inflazione in Germania: tassi di interesse negativi sui Bund (titoli di stato tedeschi) hanno già conseguenze inflazionistiche. Poiché una maggiore parità di reddito in Germania potrebbe trascinare l'Italia fuori dalla recessione, la fiducia nel debito pubblico italiano potrebbe tornare a livelli accettabili, e questo potrebbe fermare in misura maggiore il flusso irrazionale degli investimenti in Bund tedeschi, e quindi a disattivare una inflazione non guidata dai salari. Di conseguenza, un'inflazione tedesca controllabile e "buona" sarà il solo risultato di una maggiore domanda tedesca guidata dai salari. Insieme a una gestione razionale della crisi del debito, questi tre tipi di misure potrebbero contribuire alla ricostruzione dell'economia e della società italiane. La soluzione corrisponde alla natura dell'Italia, quella di un paese duplice: per lo più sviluppato, ma in parte non sviluppato, per lo più legale, ma in gran parte "informale", democraticamente avanzata e al tempo stesso esposto a instabilità politica e populismo.
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Versione delle 22:06, 7 dic 2012

Indice

Le cause della crisi economico finanziaria

Di Spartaco Vitiello.

  • Il fatto che l’attuale sistema economico sia in grave crisi è abbastanza evidente. Personalmente sono convinto che stiamo assistendo alla sua ineluttabile fine. Se questo è vero individuare e adottare nuovi modelli di organizzazione del lavoro e di distribuzione delle risorse, diventa non più un’opzione politica ma una necessità urgente, dato che non solo il benessere, ma la stessa esistenza fisica della maggior parte delle persone che vivono nei paesi sviluppati dipendono da relazioni economico/sociali complesse. Scopo di questo documento è illustrare in maniera semplice la tesi dell’ineluttabile fine dell’attuale sistema economico in modo che possa essere confutata o confermata e, in questo caso, divulgata. A questo scopo il documento è pubblico e aperto ai commenti e il suo contenuto è liberamente riproducibile. Sarà mia cura riportare nel documento i commenti e i link rilevanti (soprattutto se suffragati da dati) che mi dovessero pervenire.
  • Come tutti i sistemi economico-sociali che che si sono affermati nel corso della storia umana il capitalismo presenta numerose caratteristiche che possono essere valutate come positive o negative, anche a seconda del punto di vista da cui le si guarda, ma, nella sua essenza, può essere descritto in maniera abbastanza oggettiva:
    • Chi possiede ( o gestisce per contro di altri ) del capitale lo utilizza per pagare dei lavoratori e per acquistare materie prime, attrezzature e servizi che gli permettono di produrre beni o servizi che a sua volta vende.
    • La differenza tra il ricavato dalla vendita del prodotto e i costi sostenuti (capitale investito) costituisce il profitto.
    • L’efficacia di un’impresa capitalistica è misurata molto semplicemente dal rapporto tra profitto e capitale investito.
  • Poichè il valore delle materie prime, delle attrezzature e dei servizi impiegati nella produzione dei beni di consumo è a sua volta determinato da salari dei lavoratori e dai profitti degli imprenditori che queste materie prime, attrezzature e servizi producono,  possiamo considerare che il valore totale del prodotto di un sistema capitalistico è uguale alla somma totale dei salari e dei profitti. Per semplificare il ragionamento contiamo nel monte salari anche la parte di profitto destinata ai consumi dei proprietari del capitale, e consideriamo profitto solo la quota destinata ad incrementare il capitale disponibile per nuovi investimenti.

A questo punto possiamo immediatamente osservare che, in un ipotetico sistema chiuso, la capacità di spesa totale è data dal totale dei salari così come lo abbiamo appena definito, e quindi di tutta la produzione può essere monetizzata al massimo la parte corrispondente ai salari, mentre la quota del profitto può essere monetizzata solo vendendo al di fuori del sistema capitalistico.

  • In effetti tutta la storia del capitalismo è caratterizzata dalla continua ricerca di nuovi mercati ove il profitto prodotto in patria viene realizzato sotto forma di  importazione di materie prime, di prodotti agricoli, o acquisizione di titoli di proprietà. Parallelamente però (è un dato di fatto) anche il modo di produzione capitalistico si espande e quindi, mentre a livello mondiale aumenta la quantità di capitale alla ricerca di investimenti in grado di produrre profitto, diminuisce il numero dei consumatori-non-salariati che possono garantire la realizzazione del profitto.
  • Questo meccanismo era stato individuato 100 anni fa da Rosa Luxemburg
  • Questa descritta non è l’unca contraddizione del capitalismo
  • Come soluzione ragionevole l'unica ipotizzabile è quella di:
    • abbandonare il principio di redditività del capitale,
    • sostituirlo con la valutazione di utilità sociale del prodotto ( possibile con la rete ) ,
    • eliminare strumenti fatti per garantire il meccanismo capitalista ( il brevetto, la proprietà intellettuale )

Nota di ortosociale

Della redazione di ortosociale.
La frase evidenziata nel paragrafo precedente di Spartaco la intendo così:
A questo punto possiamo immediatamente osservare che avendo esteso l'economia all'intero globo terrestre, ci troviamo oggi per la prima volta in un reale sistema chiuso. La capacità di spesa totale è data dal totale dei salari così come lo abbiamo appena definito, cioè dal totale dei salari dei lavoratori di ogni livello e dei profitti rivolti alle spese personali di capitalisti, manager, azionisti. Quindi di tutta la produzione (PIL) può essere spesa al massimo la parte corrispondente ai salari, mentre la quota del profitto da investire può essere spesa con ritorni soddisfacenti in termini di profitto solo investendo al di fuori del sistema capitalistico. Un al di fuori che non esiste più.
In realtà il tentativo di re-investire all'interno del sistema capitalistico è stato fatto e corrisponde all'iper-consumismo compulsivo di massa. Ma è una strada chiusa, perchè riguarda lavoratori con reddito fisso e decrescente a causa della crisi. Altra strada, proposta in Italia da Luca Cordero di Montezemolo è lo sviluppo dei consumi di lusso, cioè alzare la quota dei profitti rivolti alle spese di capitalisti, manager, azionisti. E' l'idea di utilizzare gran parte delle risorse ambientali, umane, tecnologiche, finanziarie, per l'esclusivo consumo dell'elite al potere. Ma questo sta creando grandi tensioni sociali (Movimento USA 99%) e rischia di rallentare il sistema capitalistico nella sua vocazione religiosa all'investimento innovativo sorgente di nuovo profitto. Il sistema capitalistico si è mantenuto in equilibrio grazie al suo sviluppo dinamico, anche a livello finanziario, continuando a crescere ed espandendo la sua base di estrazione di valore monetario virtuale, di risorse reali, di potere politico, militare, ideologico. I banchieri genovesi hanno finanziato l'impero di Carlo V, dove non tramontava mai il sole. Quello del sacco di Roma. Il capitalismo ha una origine predatoria, calcolata come profitto. I suoi intellettuali sono coscienti del fatto che un arresto, uno stare fermi, significherebbe la fine.

Rosa Luxemburg

La teoria della riproduzione allargata ( del capitale ) di Rosa Luxemburg si è rivelata esatta

  • alla breve (crisi del 1929),
  • alla media (choc petrolifero del 1973),
  • alla lunga distanza (crisi del 2008).

Il declino del sistema capitalistico

Quando un sistema è in declino fa vari tentativi per ristabilire la sua vitalità e sostituire le risorse venute a mancare con nuove risorse (in genere umane). La crisi, a chi la osservi dall'esterno in modo distaccato e senza dare giudizi di valore, si presenta come il fallimento di tutti questi tentativi, sempre più massicci, disperati, pesanti. Come un dinosauro caduto nelle sabbie mobili, ogni tentativo di uscirne peggiora la situazione.

  • crisi del 1929 porta alla II guerra mondiale. Hitler, alfiere del capitalismo tedesco e maestro con Hjalmar Schacht di una finanza creativa che usa i soldi delle pensioni dei lavoratori tedeschi per finanziare il riarmo, tenta un suo primo modello di globalizzazione, versione 1, con il debole partner italiano e il forte partner giapponese (entrato vigorosamente nell'etica capitalistica). Come Carlo V (vedi nel seguito) non ha molto successo. Seguono i magnifici trenta , dal 1945 al 1975. Ma segue anche lo spettro della distruzione della specie umana, e non solo, con lo sviluppo di un potenziale termonucleare capace di distruggere centinaia di volte ogni forma di vita. Come un organismo "intelligente" ed "evoluto" sia arrivato a concepire un simile piano sarà materia di studio per i nostri nipoti. La soluzione, la seconda guerra mondiale, ha peggiorato la situazione. Le risorse vengono impiegate nella corsa agli armamenti nucleari fino al demenziale piano Reagan di uno scudo stellare.
  • crisi del 1973, choc petrolifero; si comincia a prendere coscienza dei limiti dello sviluppo e della finitezza delle risorse energetiche. Soluzione: sviluppo del nucleare e incentivazione del liberismo individualistico selvaggio. Ronald Reagan e Margaret Tathcer distruggono il welfare, la scuola monetarista dei Chicago boys di Milton Friedman, attraverso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, impongono ai paesi l'apertura dei loro mercati alla finanza ed ai beni prodotti dai paesi "avanzati". I paesi del sud del mondo sono impoveriti da debiti enormi e il loro sviluppo economico e politico soffocato (Cile, Salvador Allende). E' la globalizzazione, versione 2. L'indebitamento sovrano (delle finanze statali) si estende ai paesi più ricchi, USA e Giappone. Si arriva ad una situazione di indebitamento generale ed allo sconvolgimento antropologico delle economie locali con la distruzione di tutte le culture produttive locali.
  • crisi del 2008. Fallisce la General Motors, la più grande impresa industriale del mondo, poi rimessa in vita artificialmente dal governo federale USA. Falliscono per la prima volta banche ed assicurazioni. Tutto il sistema bancario, assicurativo, finanziario è intriso di debito. Attraverso i "derivati" si finanziarizzano i debiti. Attraverso i derivati si vendono quote di inquinamento CO2: chi ne produce poca vende la sua quota a chi ne produce "troppa". In pratica i problemi finanziari (economici) e ambientali vengono risolti in modo finanziario. Per far ripartire banche, finanza, produzione, investimenti, Ben Bernanke , capo della FED americana, dichiara : "abbiamo le chiavi della macchina per stampare i soldi, e non ci spaventa l'idea di usarle". Questo ha comportato che gli USA sono debitori di svariati triliardi di dollari ai paesi da cui importano praticamente tutto. La Cina popolare, neo-gigante economico come un tempo il Giappone alleato di Hitler, ha sul groppone il prodotto della "macchina per stampare" di Ben Bernanke, che a sua volta rifila in tutto il mondo, Europa, Asia, Africa, con le valigette di Bond americani o europei. Così il debito viaggia, sotto mentite spoglie. Il ciclo si chiude: un paese nato dall'ortodossia marxista si trova a gestire la riproduzione allargata del capitale e dei suoi profitti.

La soluzione alla crisi

  • abbandonare il principio di redditività del capitale,
  • sostituirlo con la valutazione di utilità sociale del prodotto ( possibile con la rete ) ,
  • eliminare strumenti fatti per garantire il meccanismo capitalista ( il brevetto, la proprietà intellettuale )

Corrispode in pieno a quanto proposto nello:

La soluzione significa abolire i profitti mantenendo se si vuole una cultura produttiva semi-capitalistica ma rispettosa dell'ambiente in modo intransigente. Lavorare senza perdite e senza guadagni su obiettivi socialmente condivisi e utili alla comunità. Una volta raggiunto l'obiettivo, spegnersi economicamente e mirare alla Manutenzione di quanto costruito. Manutenzione che sarà l'obiettivo principale dei progetti. Ad esempio, se si fa una casa la si fa in modo che chi la abiterà possa gestirla, mantenerla, svilupparla, modificarla. Il resto è tempo libero.

Un nuovo indice oltre al PIL per valutare le Nazioni e la loro economia

Esaminando l'andamento trentennale delle economie di 20 nazioni, uno studio ridimensiona le prestazioni di diversi paesi, dato che sono state realizzate erodendo il capitale naturale, e quindi in modo insostenibile. Per questo l'UNEP ha proposto un nuovo indicatore che sostituisca il PIL e contabilizzi le fonti del benessere dei paesi, includendo oltre al capitale industriale anche quello naturale, umano e di capacità di innovazione tecnologica

Il punto di vista dei sindacati europei

Italia: dalla recessione a una nuova identità socio-economica. di Paolo Borioni SOCIAL EUROPE JOURNAL 04/12/2012 Questo articolo fa parte di un paper più grande di uscita imminente che l'autore ha scritto insieme a Ronny Mazzocchi per la Friedrich Ebert Stiftung. Fa anche parte della strategia di crescita di esperti europei di informazione organizzata congiuntamente da Social Europe Journal, dalla Friedrich-Ebert-Stiftung, dalla Bertelsmann Stiftung, dal IMK del Boeckler Hans Stiftung e dall'Istituto sindacale europeo (ETUI - European Trade Union Institute). testo: L'origine della crisi economica italiana è, manco a dirlo, molto più globale della crisi italiana. Un'economia come quella italiana così notevolmente dipendente dalle esportazioni industriali non poteva rimanere insensibile alle conseguenze depressive della crisi e, ancor più, dai risultati soffocanti delle misure di austerità imposte in tutta l'UE, comprese quelle del governo tecnocratico di Monti. L'Italia è stata la nazione occidentale a più rapida crescita nel periodo 1950-1990. Anche se questo era dovuto in parte alla sua identità di esordiente (i bassi salari hanno aiutato la competitività), molti altri fattori hanno avuto un ruolo significativo. Poche grandi imprese private (Fiat, Pirelli, Olivetti e qualcun'altra) e grandi aziende di proprietà pubblica (Ansaldo-Breda, Fincantieri, Eni, Enel per citarne alcune), hanno provveduto a fornire investimenti a lungo termine e innovazione. Tra questi due pilastri la cosiddetta "terza Italia", ha dato alla luce un sacco di PMI (piccole e medie imprese). Queste hanno fornito all'economia la tanto decantata "specializzazione flessibile", cioè una catena in gran parte formale, ma in parte anche "informale", di produttori collegati a imprese manifatturiere su larga scala nazionali e straniere, in grado di adattarsi rapidamente all'evoluzione della domanda globale e nazionale. 5000 di queste PMI hanno sviluppato alla fine un innegabile successo economico, qualcosa di molto simile al Mittelstand tedesco. Oggi, hanno assicurato che il paese è riuscito a realizzare un surplus commerciale nel corso degli ultimi mesi - sebbene fosse anche richiesto una capacità di produzione. Tuttavia, il resto delle PMI ha sofferto eccessivamente delle novità degli ultimi trent'anni: neoliberismo, finanziarizzazione, i parametri Euro rigidi e ossessionati dall'inflazione. La finanziarizzazione e in certa misura anche la globalizzazione hanno convinto grandi imprese come la Fiat a ritirare gli investimenti innovativi e a lungo termine dal panorama italiano. Il neoliberismo ha incrementato questo processo screditando la fornitura a lungo termine di R & S (Ricerca e Sviluppo) da parte di grandi imprese pubbliche, nonostante l'evidenza che alcune imprese coinvolte (per lo più sotto l'ombrello di Finmeccanica ed Eni) fossero indiscutibili esempi di innovazione globale. Inoltre, i rigidi parametri Euro hanno ostacolato la domanda interna UE e impedito che la svalutazione della lira venisse utilizzata come strumento temporaneo di competitività. Prima della crisi, l'Italia rimaneva un paese industriale con pochisssima inclinazione alla finanziarizzazione a breve termine e all'indebitamento (a differenza di Gran Bretagna, Spagna e, in misura minore, in Germania). Aveva bisogno di più decenni dopo "i gloriosi trenta" seguiti alla seconda guerra mondiale per liberarsi delle caratteristiche "nuove arrivate", mentre invece la finanziarizzazione e il neoliberismo trionfavano. Con questo il pubblico investimento a lungo termine diminuiva, così come la capacità della nazione di favorire l'innovazione che le PMI avevano lottato per raggiungere da sole. Come risultato, molte PMI rimasero piccole e spesso incapaci di pianificazione a lungo termine. Così il minor costo del prestito di denaro sopraggiunto negli anni post-Euro non poteva essere strategicamente messo in uso. Di conseguenza, la maggior parte dei produttori italiani e fornitori di servizi torna indietro in modo miope alle tipiche caratteristiche precedenti (mercato del lavoro informale, tolleranza nei confronti degli evasori fiscali). Quindi, per una gran parte dell'economia italiana, inizia un circolo vizioso: più (specialmente nel Mezzogiorno meridionale) sono presenti questi fattori minori sono gli incentivi per l'innovazione di lungo periodo. Di conseguenza, l'umore generale si è collegato a queste contraddizioni sociali: vale a dire sentirsi bloccati dopo essere cresciuti per diversi decenni. Queste sono anche le radici sia dell'enorme debito pubblico che degli orribili anni di Berlusconi. La crescita del welfare state e molto probabilmente il più veloce invecchiamento della popolazione in tutto il mondo avrebbe richiesto proprio la raccolta di tutti gli introiti fiscali che l'economia avrebbe potuto permettersi. Ma le suddette ragioni economiche strutturali hanno reso impraticabile questa opportunità. Diversi governi Berlusconi hanno lasciato milioni di piccole e medie imprese bisognose di rassicurazioni in questa epoca di ansietà multiple, soprattutto dopo la caduta nel 1993 della Democrazia Cristiana (il naturale partito di governo moderato in Italia nel 1945-1992). Ogni spiegazione (in primo luogo il mito di una democrazia condizionata da un lavaggio del cervello via TV, o di un pubblico indifferente alla corruzione e agli scandali) è assolutamente semplicistica (e nel lungo termine sciocca). Inoltre, il "mercantilismo" tedesco ha peggiorato la situazione. La diminuzione impressionante dei bassi salari tedeschi e l'aumento relativamente insufficiente di quelli alti, hanno privato l'Unione europea (e un paese manifatturiero come l'Italia rivolto all'export più di altri Stati membri dell'Unione europea) del suo più importante mercato d'esportazione. Quindi, quando la crisi globale è arrivato, l'Italia non poteva evitare di essere in gran parte impreparati. Anche se lo sviluppo democratico e sociale del 1945-1990 rende ancora l'Italia un paese con grandi prospettive per il futuro, sono invece innegabili le debolezze presenti. Per esempio, l'ipotesi che gli italiani abbiano vissuto oltre le proprie possibilità è in gran parte falso. Il debito pubblico in Italia è in gran parte bilanciato da uno dei più alti rapporti di risparmio del mondo, a differenza di molti altri paesi. Dopo aver esaminato il lungo viaggio dell'Italia alla sua situazione attuale, l'elenco delle soluzioni almeno è piuttosto breve. L'Italia ha bisogno prima di tutto di tre tipi di misure:

  1. le risorse accumulate in ricchezza privata e in parte mediante sleale comportamento fiscale devono essere tassate molto di più (cioè tassate secondo le regole). Questo, però, non deve essere (né venir percepito) come punitivo, ma deve essere graduale per prevenire la morte improvvisa di troppe piccole e medie imprese. Le nuove entrate devono alimentare la domanda (derivante dal basso e, quindi, una più equa distribuzione e pre-distribuzione) e, soprattutto, finanziare migliori sussidi di disoccupazione e migliori politiche attive del mercato del lavoro, più l'innovazione. In sintesi, tali misure tendono a rimuovere gli incentivi sbagliati alla produzione basata su un basso costo della manodopera, mentre invece migliorano la parità tra le parti del mercato del lavoro e potenziano una sistematica innovazione.
  2. Una nuova "Regola d'oro" deve essere negoziata come parte di un nuovo accordo europeo sulla sostenibilità del bilancio pubblico. Parte del deficit dello Stato deve essere autorizzato a star fuori dei parametri Euro, al fine di alimentare gli investimenti in infrastrutture, innovazione ecologica ecc in modo strettamente finalizzato allo scopo e strettamente monitorato a livello UE.
  3. i bassi salari tedeschi e dell'UE devono crescere in modo significativo, ad esempio, attraverso un salario minimo UE come quello che Thorsten Schulten propone. Ciò può solo in parte causare inflazione in Germania: tassi di interesse negativi sui Bund (titoli di stato tedeschi) hanno già conseguenze inflazionistiche. Poiché una maggiore parità di reddito in Germania potrebbe trascinare l'Italia fuori dalla recessione, la fiducia nel debito pubblico italiano potrebbe tornare a livelli accettabili, e questo potrebbe fermare in misura maggiore il flusso irrazionale degli investimenti in Bund tedeschi, e quindi a disattivare una inflazione non guidata dai salari. Di conseguenza, un'inflazione tedesca controllabile e "buona" sarà il solo risultato di una maggiore domanda tedesca guidata dai salari. Insieme a una gestione razionale della crisi del debito, questi tre tipi di misure potrebbero contribuire alla ricostruzione dell'economia e della società italiane. La soluzione corrisponde alla natura dell'Italia, quella di un paese duplice: per lo più sviluppato, ma in parte non sviluppato, per lo più legale, ma in gran parte "informale", democraticamente avanzata e al tempo stesso esposto a instabilità politica e populismo.
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