Antropos09
Da Ortosociale.
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La condizione della donna
Le società prestatuali (dette anche “primitive”)
Le società che per seguire la consuetudine chiamo “primitive”, senza peraltro minimamente riconoscere a questo termine la sua accezione negativa, si distinguono dalla società moderna per la completa assenza di ogni forma di organizzazione statale. In tal senso le società Maya, Inca e Azteca non sono “primitive”. Né lo sono gli antichi Egizi, i Sumeri, i Babilonesi, i Romani della Repubblica e dell'Impero, etc. Tra queste società vi sono molte società assolutamente egalitarie, dove manca qualsiasi forma di coercizione del tipo : io comando e tu obbedisci. Gli antropologi hanno studiato soprattutto questo tipo di società che oggi sono praticamente estinte. Alcune di esse, come quelle dei nativi americani, i cosiddetti pellerossa o “amerindi”, stanno tentando l'incredibile esperimento di ricreare la loro cultura nell'ambito radicalmente diverso del mondo globalizzato, reimparando la lingua e le tradizioni, praticando gli antichi rituali spirituali, modificando lo stile di vita urbano che ci è stato imposto. Propongo come chiavi di lettura della condizione femminile in questo tipo di società gli autori che seguono. La condizione femminile nella società moderna, quella caratterizzata dalla predominante presenza di uno stato, ha molti punti di contatto con quella delle società “primitive”. Nella società moderna si assiste ad una sovrapposizione di ruoli da parte femminile: quello “primitivo” tradizionale di economia domestica (svolto quasi interamente dalle donne) che assicura tra le altre cose la riproduzione della specie, e quello “moderno” di “proletariato” (ironia del termine) a servizio della economia di mercato in posizioni subalterne rispetto ai maschi.
Precisazione sulla antropologia e il “femminismo”
Nella antropologia si tende a ignorare la centralità della condizione femminile come elemento portante di tutta la strutturazione culturale, sociale, materiale, produttiva delle società “primitive”. Solo un ramo della antropologia, definito “femminista”, afferma il valore essenziale del rapporto tra i sessi e della divisione sessuale del lavoro sociale. Sarebbe più consono definire questo approccio “scientifico”, nel senso che solleva il velo su fatti centrali , anziché definirlo “femminista”, nel senso riduttivo di atteggiamento ideologico di parte. Anche la antropologia progressista, aperta, “liberal”, quella che vanta la massima apertura alle culture le più diverse, ha su questo punto un atteggiamento fortemente riduttivo se non sessista. In altre parole si difendono a spada tratta, ad esempio, i diritti dei nativi americani e si sorvola sui rapporti di genere tra i nativi americani stessi, minimizzando le asimmetrie di genere. Come si vedrà nel seguito.
Eleanor Leacock
Di orientamento marxista, ha lavorato come etnologa presso i Mantagnais-Naskapi (Cree) del Canada (Quebec e Labrador). Assimila la asimmetria maschio-femmina, vista sia come sesso-natura che come genere-cultura, al dominio di classe tradizionale : schiavitù, servitù della gleba, proletariato. Da segnalare:
“Women's status in egalitarian society: Implications for social evolution” in Current Anthropology, 19, pp.247-275
Claude Levi-Strauss
Acclamato antropologo francese sostiene con brillanti deduzioni strutturaliste che la “cultura” inizia con lo scambio delle donne. Allo stesso modo in cui si scambiano segni dando origine al “linguaggio” e si scambiano beni dando origine alla “economia”. Contestato da alcune femministe su questo punto rispose che il suo paradigma strutturalista avrebbe funzionato lo stesso anche se al posto delle donne si fossero scambiati gli uomini. Ma , come gli contesta Amalia Signorelli, antropologa, allieva di De Martino (Federico II, Napoli), Claude non spiega perchè e come ad essere scambiate siano state le donne. Lo strutturalismo, dopo aver largamente dominato, soprattutto in Francia, è in forte declino.
Francesco Spagna
Insegna Antropologia alla Università di Padova e collabora con il Centro studi americanistici “Circolo Amerindiano”. Il trickster è una figura tipica di tutte le culture amerindiane, è un demiurgo briccone che crea e ricrea il mondo. Ogni trickster è raffigurato con animali o “cose” diverse. Carcajou è una figura mitica, è il trickster tipico delle cultura Cree Montagnais-Naskapi. Viene rappresentato come un ghiottone (gulo gulo). Dal suo “Sulle orme della Tradizione", pag 145, cap. Mixedblood tricksters:
Carcajou ha come amante la sorella minore della moglie, che visita di notte cercando di non farsi scoprire. Ma le due donne sono perfettamente al corrente di tutto, e una notte decidono di fare uno scherzo a Carcajou, scambiandosi di letto. La notte, tornato dalla caccia [Nota : divisione sessuale del lavoro: maschio guerriero-cacciatore, donna agricoltore e produttore industriale tout court, vedi di seguito Thorstein Veblen] Carcajou si infila nel letto dell'amante e ha un rapporto sessuale con lei. Osserva che ella fa all'amore nello stesso modo della moglie, ma non si accorge che quella è effettivamente sua moglie. Quando scopre di essere stato gabbato dalle due donne, infuriato, si avventa sulla moglie, costringendola in un amplesso violento che coinvolge tutto il corpo e tutti gli orifizi. Da questo amplesso disordinato e caotico hanno origine tutte le diverse etnie della terra. A margine di questo stupro mitologico, appare dunque una riflessione metaculturale: le differenze etnico-linguistiche sono concepite come un “tiro” del Briccone. Il disordine del trickster è creativo...
Spagna prosegue serenamente le sue considerazione sui trickster, demiurghi-bricconi, dopo aver definito lo “stupro mitologico” un “amplesso disordinato e caotico”. Nessun rilievo da parte sua che in un mito della fondazione del mondo vi sia uno stupro, caotico, violento, disordinato, dettato dalla furia e dall'ira. Quali concreti rapporti maschio-femmina lascia intendere questo mito, al di là delle sue narrazioni metaculturali?
Altra caratteristica delle culture amerindiane, considerate fortemente “egalitarie”, è la considerazione negativa del menarca: se un cacciatore-guerriero incontra nel suo sentiero una giovinetta con il menarca la considera una catastrofe.
Philippe Jacquin
Storia degli indiani d'America, capitolo “Squaw e vita famigliare”, pag 65, Oscar Storia, Mondadori, 2009. Dopo aver citato l'antropologo R.Lowie che sostiene, probabilmente a ragione:
La donna non è affatto un bene mobile, sono poche le proibizioni religiose che la riguardano, socialmente si giova di una notevole libertà, la donna crow [Nota: i Crow sono della famiglia Sioux del Missouri] beneficia sia di una situazione stabile nella vita tribale, sia di buona parte dei vantaggi che essa offre
P.Jacquin scrive:
Sulla donna incombeva la pesante fatica dell'agricoltura e del raccolto. Spesso l'uomo era assente, in guerra o a caccia; la donna doveva sorvegliare i figli e l'accampamento. Presto le ragazze seguendo le madri imparavano tutti i principi dell'economia domestica. Trattare le pelli e farne degli abiti morbidi e resistenti, fabbricare il mobilio e tutti gli utensili di cucina, tessere per fare corde e fili, imparare a conoscere le piante per tingere e per medicamenti. Infilare collane e decorazioni in perle, dipingere tende e abiti; infine raccogliere legna per accendere il fuoco. Oltre a questi lavori quotidiani, talvolta la donna acccompagnava lo sposo nella caccia, portandogli armi e bagaglio, e poi tornava con la selvaggina che squartava e preparava sul posto. Nelle tribù del Sud-ovest, l'uomo era agricoltore, e la donna si dedicava alla fabbricazione di vasellame e tessuti.
Come si vede le condizioni potevano essere diverse ma generalmente la produzione industriale (beni di sussistenza, artistici, di cura) era interamente a carico delle donne.
E.E.Evans-Pritchard
Antropologo inglese, maschio. Da “La donna nelle società primitive”, biblioteca di cultura moderna, Laterza, 1973, pag.46-47:
Le società primitive, le società barbariche e le società storiche europee e orientali dimostrano tutte le varietà possibili d'istituzioni, ma in tutte, al di là della forma della loro struttura sociale, sono sempre gli uomini ad avere il predominio, il che risulta tanto più evidente quanto più avanzata è la società in questione.
Thorstein Veblen
Grande economista, etnologo, psicologo americano di fine '800, di origini norvegesi. E' il padre del filone istituzionalista dell'economia eterodossa (non neo-classica). E' il creatore della analisi del “consumo vistoso” e della “classe agiata”. Da posizioni opposte a quelle di Marx, e molto diverse da quelle di Weber, considera la produzione di ricchezza come il soddisfacimento di un “istinto della efficienza”, una spinta all'emulazione sociale, la necessità di produrre status symbol di potere, anziché la soddisfazione di bisogni reali, materiali o culturali. Ciò a partire dalle società primitive e dalle società che lui chiama barbariche cioè le società (fortemente) stratificate pre-statuali. Le ricerche recenti (Marshall Sahlins in “L'economia dell'età della pietra” definisce l'età della pietra una età opulenta) hanno confermato la sua teoria, nel senso che dall'età della pietra in poi l'uomo non viveva in uno stato di necessità, ma sviluppava la propria vita e la propria produzione industriale sulla base di modelli culturali a volte molto sofisticati.
Da “La teoria della Classe agiata” Studio economico delle Istituzioni, piccola biblioteca Einaudi – Scienze Sociali, 2007:
Pag.21
La prima differenziazione da cui nasce la distinzione fra classe agiata e classe lavoratrice è la divisione mantenuta tra il lavoro degli uomini e quello delle donne negli infimi stadi della barbarie. Allo stesso modo la primissima forma di proprietà è proprietà delle donne da parte degli uomini capaci della comunità. I fatti possono venir espressi in termini più generali e più consoni all'importanza della teoria barbarica della vita, dicendo che c'è una proprietà della donna da parte dell'uomo.
Pag.22 [Nota: QUESTO è FONDAMENTALE]
Dalla proprietà delle donne il concetto di proprietà si allarga fino a comprendere i prodotti della loro industria, e così nasce la proprietà tanto delle cose che delle persone.
Pag.15
In siffatto gruppo predatorio di cacciatori la mansione degli uomini abili viene ad essere la guerra e la caccia. Le donne fanno tutti gli altri lavori che ci sono da fare – poiché gli altri membri inabili alla mansione virile sono a questo scopo classificati tra le donne. Ma il cacciare e il combattere sono due cose del medesimo carattere generico. Entrambe sono di natura predatoria; il guerriero e il cacciatore raccolgono dove non hanno seminato. La loro aggressiva affermazione di forza e accortezza differisce naturalmente dal diligente e ordinario lavoro su oggetti materiali, che fanno le donne; essa non può considerarsi come un lavoro produttivo, ma piuttosto un acquisto di sostanze attraverso la rapina. Essendo questo il lavoro dell'uomo barbarico, nel suo più alto sviluppo e nella più accentuata divergenza dal lavoro delle donne, ogni sforzo che non implichi un'affermazione di coraggio viene a essere indegno dell'uomo. Come la tradizione prende consistenza, il senso comune della comunità ne fa una regola di condotta; cosicchè nessun impiego e nessun acquisto è in questa fase culturale moralmente possibile all'uomo che si rispetti, eccetto quello che si muova su una base di coraggio – la violenza o la frode. Quando l'abito di vita predatoria si è stabilito nel gruppo per una lunga consuetudine, nell'economia sociale l'ufficio accreditato dell'uomo abile diventa uccidere, eliminare nella lotta per l'esistenza i competitori che cercano di resistergli o di sfuggirgli, sopraffare e soggiogare quelle forze estranee che nell'ambiente circostante si affermano ostilmente. Così tenacemente e con tale minuzia si è radicata questa distinzione teoretica fra gesta e lavoro ordinario che in parecchie tribù di cacciatori l'uomo non deve portare a casa la selvaggina ch'egli ha uccisa, ma deve invece mandare la sua donna a compiere questo vile ufficio.
Veblen sa benissimo che la lotta fa parte di ogni stadio culturale, in forma occasionale o sporadica, o perfino più o meno frequente o abituale. Il passaggio alla mentalità predatoria avviene quando l'atteggiamento rapinatore è divenuto l'atteggiamento spirituale accreditato e abituale per i membri del gruppo(pag.19)