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Da Ortosociale.

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SE LE PERSONE SONO COSE

La trasmissione TV Talk di sabato 13 ottobre ha sollevato il velo sulla critica mossa a Chi l’ha visto? circa la messa in onda dell’increscioso episodio di Cittadella. Mostrando il video girato dalla zia di Leonardo, senza spiegare le ragioni del padre, Sciarelli avrebbe peccato di partigianeria. Quel che preoccupa, insomma, è la verità che i fatti rappresentati testimoniano con chiarezza abbagliante e che nessuna spiegazione, io credo, è in grado di oscurare: ad imporre la sconvolgente violenza al bambino è stato proprio il padre. Se, infatti, scandalizza giustamente il fatto che un bambino abbia subito da parte della polizia un trattamento riservato a pericolosi criminali, di gran lunga più scandalosa appare – o almeno dovrebbe apparire - l’attiva partecipazione del genitore ad una operazione così poco edificante, produttrice di conseguenze pesantissime sulla vita del piccolo.

Il comportamento paterno

Il comportamento paterno a me pare giustifichi le accuse di violenza mossegli dal figlio, così come le sue paure e il diniego a stare con lui, e non mi riferisco solo alla crudeltà esibita durante il fattaccio. Nelle interviste che ha rilasciato dopo l’accaduto non abbiamo visto un padre contrito e preoccupato, com’è necessariamente chi causa al proprio figlio, contro la sua stessa volontà, un trauma irreparabile, ma un uomo che ha vinto una guerra contro la moglie e il figlio. L’imperturbabilità e la mancanza di un coinvolgimento seppur minimo nel dramma vissuto dal bambino hanno messo a nudo un uomo incapace di riconoscere nel figlio non dico una persona portatrice di diritti, ma semplicemente un essere umano dotato di emozioni e sentimenti. Che dire, poi, dello psichiatra che ha diagnosticato la fantomatica “sindrome di alienazione genitoriale”, una malattia inesistente perché non provata, non riconosciuta come tale in ambito scientifico e perciò esclusa dal Manuale diagnostico delle malattie mentali? Coinvolto nell’indecoroso trascinamento appare anch’egli affetto da una sindrome ben più grave della Pas, quella che permette di reificare un essere umano, scambiandolo per una cosa. Nonostante l’evidenza che i fatti rimandano, tutte le voci che ho sentito, anche quelle non volte ad assicurare esplicito sostegno al povero padre, hanno distribuito paritariamente le colpe fra i due genitori. Non mi fanno specie i discorsi degli uomini che - nonostante i vari distinguo - si giustificano e si assolvono sempre e comunque, mi preoccupano seriamente le donne che non trovano ancora il coraggio di riconoscere la verità anche quando è autoevidente e malgrado la violenza maschile impazzi senza ritegno e platealmente a casa e fuori. Ciò a cui abbiamo assistito è uno schieramento in forze contro la madre, ma soprattutto contro il figlio. Se il ricorso da parte dei padri separati ad una malattia che non c’è e l’avallo delle istituzioni sono ingiustificabili anche in presenza di un vero e proprio ostruzionismo da parte della madre, paradossali appaiono i mezzi usati per raggiungere il fine che si dice di perseguire, cioè ristabilire i rapporti tra il genitore cosiddetto alienato e la prole. E’ legittimo chiedersi, infatti, che tipo di relazione può derivare dalla spietata distruzione degli equilibri su cui si fonda la vita del bambino. A meno di crimini gravissimi, sottrarre forzosamente i figli alla loro quotidianità e all’affetto di chi li accudisce significa inibire la possibilità stessa di relazioni affettuose e di stima. Ricorrendo alla menzogna e alla violenza si può mirare solo a stabilire rapporti di forza, ad ottenere ubbidienza, non certo amore. Superfluo sottolineare che l’interesse dei figli non rientra in tale logica la quale, disgraziatamente, informa tutti i sistemi sociali, basati come sono sull’ignoranza di ciò che un vivente è. Se così non fosse la guerra avrebbe perso la sua legittimità e sarebbe stata cancellata dalla faccia della terra da lunga pezza.

La società androcentrica

Ora, se le carenze affettivo-cognitive mostrate dal padre e il conseguente ricorso alla forza bruta sono esattamente ciò che struttura dall’interno le società androcentriche, a che santo deve votarsi una madre per proteggere dai comportamenti sopraffattori del padre le/i figli, soprattutto quando sono proprio loro a rifiutarlo? La cosiddetta sindrome della madre malevola ha il merito di rinnovellare la caccia alle streghe mai sopita e di impedire l’attento ascolto di ciò che il bambino dice. Il suo racconto viene addebitato aprioristicamente alla madre, ma che colpa ha lei se i metodi educativi paterni prevedono di spaventare a morte il figlio ricorrendo alla polizia quando, ad appena quattro anni, non vuole seguirlo, o chiudendolo in cantina quando disubbidisce? Si può addossare a lei la responsabilità della mancata empatia che fa parlare il padre, subito dopo l’evento, di presunta serenità del figlio a cui mancherebbero solo i suoi effetti personali, anteponendo lo spazzolino da denti al legame con la madre? La Pas, però, non prende in considerazione l’agire paterno, mentre consente di condannare una donna senza che i suoi reali comportamenti vengano attentamente vagliati, poiché non prevede un regolare processo per maltrattamenti con relative prove a carico. Le società in cui viviamo sono il prodotto della parzialissima mente maschile che assicura paterna protezione agli uomini, soprattutto ai più prepotenti, non alle donne e ai bambini. Tutte indistintamente si radicano sul misconoscimento del lavoro di cura, cioè di quella gran mole di ineludibili attività di cui le donne si fanno carico gratuitamente e senza la possibilità di muovere le risorse a favore della vita. Il matrimonio è, perciò, un contratto ineguale che conferma gli uomini nella loro posizione dominante. Nonostante la decantata uguaglianza tra i coniugi, infatti, la patria potestà è rimasta e si rafforza in tempo di crisi che vede le donne ricacciate nel ruolo domestico, e quasi ovunque nel mondo il cognome ai figli lo dà il padre, cosa davvero stravagante visto che sono le madri a fare i figli e ad occuparsene.

La falsa parità tra i sessi

I rapporti tra i due sessi sono in radice squilibrati e gli uomini sono disponibili a condividere con le donne solo le “colpe” quando non è possibile scaricare tutta la responsabilità su di loro. D’altronde le donne continuano a credere all’idea tanto falsa quanto stupida, diffusa proditoriamente dagli uomini, secondo cui quando ci sono problemi in una coppia la colpa è di entrambi. Ciecamente si assumono per un buon 50% la responsabilità delle disfunzioni, dell’irragionevolezza e incongruenza di istituzioni ideate e messe in atto al solo scopo di assicurare un’immeritata quanto impossibile primazia agli uomini. Invero neanche tale cosiddetta parità viene rispettata; pure in caso di violenza letale i riflettori vengono puntati sulla parte femminile, mentre dei maschi si parla poco e in modo assolutorio.

La dimensione sociale della violenza maschile

Secondo me è venuto il momento di allargare lo sguardo, collocando ogni volta le problematiche private tra i due generi nella dimensione sociale - anch’essa oscurata dalla parzialità di uno sguardo che insegue singoli dati sconnessi - per portare allo scoperto la violenza che gli uomini esercitano su donne, bambini e non solo, direttamente e indirettamente attraverso organizzazioni sociali della dominanza, ingiuste e sopraffattorie. Nella fattispecie, è possibile dire ai padri separati, che si lamentano di dover provvedere ai bisogni della moglie e della prole, che è maschile la divisione della sfera pubblica da quella domestica dove le donne sono state relegate? La loro subordinazione, tenacemente voluta, perseguita e perpetuata ancora oggi dagli uomini, ha reso necessaria quella dipendenza economica che ora essi lamentano. E ancora, come si può pretendere l’affidamento paritario dei figli se da millenni la cura della vita è esclusivo compito femminile, in quanto attività servile e umiliante per il sesso forte? Da tale lavoro le donne hanno tratto sicure conoscenze sul vivente e gli uomini non possono pretendere di superare un gap millenario in poco tempo, soprattutto se si pongono altezzosamente come maestri, non come apprendisti della vita. Per di più le donne sono, come tutti gli organismi femminili, le artefici della loro specie, perciò gli uomini, come tutti gli organismi maschili, sono prima di tutto e soprattutto i loro figli, non certo i padri e i mariti. Stando così le cose, in nessun modo maternità e paternità possono essere poste sullo stesso piano. Riconoscere per prime tale elementare verità e indurre la parte maschile della propria prole a prenderne atto e ad imparare a guardarsi finalmente dentro, è oggi il compito principale delle donne.

Angela Giuffrida
Mirano 19.10.2012

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