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Da Ortosociale.
La teoria del Corpo Pensante
La validazione di una teoria si realizza attraverso il confronto assiduo con la realtà. Da tale confronto la teoria del corpo pensante esce rafforzata: non solo non ha perso la sua pregnanza nel corso degli anni, ma si conferma viepiù efficace ed imprescindibile strumento di comprensione del reale. Grazie all’ampliamento dell’orizzonte conoscitivo ed al potenziamento delle capacità connettive che essa comporta, l’organismo vivente va sempre più delineandosi nella sua integrità e concretezza come soggetto conoscente e agente [Di questo e di altri aspetti della Teoria del corpo pensante tratto nel mio saggio La razionalità femminile unico antidoto alla guerra, Bonaccorso Editore, marzo 2011]. Si consolida l’idea che la dimensione affettiva non solo non ostacola conoscenza e pensiero, ma ne costituisce il presupposto implicito: pensiamo non malgrado, ma proprio perché siamo senzienti. Pensare è la caratteristica propria del vivente, ma perché il pensiero evolva in senso razionale occorre uno sviluppo affettivo-cognitivo che coinvolga il sistema nel suo insieme. Il conflitto tra affettività e ragione è, infatti, sintomo di una carente evoluzione di entrambe. In questo quadro mentre l’empatia, emanando da eccellenti conoscenze sugli organismi, conferma la sua valenza eminentemente cognitiva, la razionalità oltrepassa da ogni parte l’angusto limite imposto dal pensiero calcolante, logico-deduttivo, assumendo nuovi caratteri di ampiezza, comprensività e flessibilità che la rendono funzionale alla vita. Ad una siffatta ragione si addice in modo particolare quella circolarità dello sguardo che le donne mutuano dal loro stare nel mondo con l’intero corpo e di percepirlo attraverso tutti i sensi. L’uomo, invece, si mette alla finestra e assume il mondo principalmente attraverso un solo senso, la vista, che coglie dati singoli inseguendoli linearmente. Così mentre la mente femminile riproduce il reale nella sua integrità, la mente maschile lo schiaccia su uno schermo immaginario dove si susseguono oggetti manipolabili a proprio arbitrio. Colui che conosce considera il suo stesso corpo oggetto, non fonte di conoscenza, come giustamente fa notare Hans Jonas, che, arrivando alle mie conclusioni, registra la singolare sparizione dell’organismo vivente dal pensiero filosofico [Hans Jonas – Organismo e libertà – Einaudi 1999]. Un essere immateriale - anima, ragione o spirito - diventa soggetto assoluto e soppianta gli individui in carne ed ossa che, retrocessi a cose, giustificano gli attacchi distruttivi commessi a loro danno. Poiché percepire e conoscere sono capacità che appartengono solo ai corpi viventi e senzienti, la loro cancellazione dal mondo del pensiero fa perdere a tutto il reale autonomia e consistenza. La mente maschile lo sostituisce con una rappresentazione la cui correttezza non può essere verificata: ogni confronto è, infatti, interdetto laddove l’universo reale non esiste se non sottoforma di idea. Nel sistema di pensiero maschile, pertanto, la realtà costituisce un tabù, tra tutti il più inattaccabile. A causa della loro dipendenza dalla realtà, verità e giustizia restano valori inattuati ed inattuabili nelle società paterne; in effetti la giustizia può operare solo in presenza della verità e questa è strettamente connessa alla realtà. Nel saggio La razionalità femminile unico antidoto alla guerra riprendo e chiarisco ulteriormente anche altri aspetti del pensiero dominante, che mostrano una ricaduta pressoché infinita sull’esistente. La tendenza a prendere in considerazione ogni cosa per se stessa, senza legami con altro, si precisa sempre più come fonte della conflittualità esasperata che sfocia nella guerra di tutti contro tutti. Ogni dato preso singolarmente, infatti, richiama il suo opposto e lo fronteggia in uno scontro che non può che concludersi con la fatale eliminazione di uno dei due. La polarizzazione appiattisce ogni rapporto umano su un antagonismo irriducibile di cui la guerra guerreggiata è soltanto la punta di diamante. Il suo superamento è possibile solo visualizzando il contesto in cui i poli si collocano insieme a numerose altre variabili; sono queste a suggerire soluzioni diverse dalla cancellazione forzata di un polo. L’ampiezza dello sguardo femminile consente di non radicalizzare l’opposizione e di ridimensionare il conflitto, trasformandolo in confronto produttivo. Permette, altresì, di ricondurre l’analisi, che nel sistema di pensiero maschile occupa un ruolo centrale e autonomo, ad attività interna alla visione d’insieme del fenomeno-problema di cui si considerano gli aspetti parziali. L’operazione è indifferibile non solo perché le parti, assemblate in un secondo momento, non restituiscono un reale complesso e in divenire, come ad esempio un organismo vivente, ma anche perché dall’approccio analitico deriva la stravagante attrazione degli uomini per la distruttività e la morte, causa di sofferenze e lutti. Difatti dalla consuetudine a fare a pezzi oggetti e fenomeni per meglio conoscerli, scaturisce alla lunga il piacere di decostruire che, rafforzato da altri meccanismi tipicamente maschili, diventa un ordigno micidiale pronto ad esplodere in qualsiasi momento.
Ricerche condotte in vari campi da studiose e studiosi di tutto il mondo confermano quotidianamente la teoria del corpo pensante. Nel saggio sopra citato ne riporto alcune, ad esempio le riflessioni del sociologo Mino Vianello che avvalorano il diverso approccio cognitivo al reale dei due sessi, pur limitandolo alla percezione spaziale [Mino Vianello – La spada di fuoco – Edizioni Dedalo 2007]. Il termine ovulare definisce il modo femminile di vivere lo spazio “immediatamente e sensibilmente” dall’interno e combacia con quello sguardo circolare, proprio delle donne, cui si accennava prima. Lo spazio strategico, legato alla teorizzazione che ne dà Euclide, è, invece, visto dal di fuori; uno spazio recepito come contenitore di oggetti i quali, privati della loro autonomia e consistenza, diventano pedine nelle strategie maschili di empowerment. Come si vede Vianello conferma l’autoriduzione del maschio umano ad un occhio che guarda il mondo senza vederlo realmente perché incapace di vedere se stesso. Rafforza anche la tesi dell’invidia della creatività del corpo femminile, considerandola addirittura “causa primigenia del maschio alla sopraffazione”. Simon Baron-Cohen [Simon Baron Cohen – Questione di cervello – Arnoldo Mondatori Editore 2004] rincara la dose, arrivando a sostenere che l’autismo sia l’espressione estrema del cervello maschile. Definisce sistematico, perché “programmato” per elaborare e controllare sistemi chiusi, il cervello degli uomini, empatico quello femminile in quanto adatto alla comprensione e gestione di quei sistemi aperti che chiamiamo viventi. Le sue indagini lo hanno portato ad attribuire caratteri di parzialità, rigidità e chiusura alla mente maschile, apertura e flessibilità alla mente delle donne, in sintonia con le mie asserzioni. Esperimenti di laboratorio condotti sui mammiferi [“Il cervello materno” in La razionalità femminile op. cit. cap. VIII] convalidano, poi, il rapporto tra maternità e cura della vita da una parte ed evoluzione mentale dall’altra, suggerendo che l’evoluzione cerebrale dei mammiferi derivi principalmente dallo sviluppo del comportamento materno. Ma l’aspetto di gran lunga più significativo di tali ricerche a me pare la dimostrazione che dalle attività di cura non solo le madri, ma anche i padri traggano benefici cognitivi duraturi. L’Epigenetica - una nuova scienza che studia i meccanismi molecolari mediante i quali l’ambiente altera il comportamento dei geni senza modificare l’informazione che contengono - dimostra che cambiamenti dovuti all’esperienza possono addirittura essere trasmessi alla prole, superando l’idea prevalente di predestinazione, associata ai geni [Eric J. Nestler - Il codice epigenetico della mente – articolo apparso su Le Scienze, n. 522, febbraio 2012]. Poiché, con ogni evidenza, non tutto è iscritto nella sequenza del Dna del genoma, l’organismo tutto intero si avvia ad uscire dal fatale determinismo che lo ha finora marginalizzato e può recuperare l’insolubile nesso tra capacità di esperire e di pensare: la mente è un’emergenza del corpo biologico il quale è immerso in un flusso continuo di formazione e trasformazione. Nessuna condanna alla minorità pesa, quindi, sulla parte maschile della specie che, come sostengo da tempo, ha la possibilità di evolversi attraverso esperienze adeguate. Studi sperimentali di genetica, riguardanti l’imprinting genomico sul cervello, scoprendo il diverso ruolo che i genomi materno e paterno giocano nello sviluppo e nella crescita dello stesso, hanno mostrato come la corteccia cerebrale sia codificata esclusivamente dal Dna della madre [Eric Barry Keverne – Genomic imprinting in the brain, in Current opinion in Neurobiology, n. 7, 1997]. L’intrinseca intelligenza delle attività di produzione e cura dei viventi abbandona il campo delle ipotesi per assumere reale consistenza. Allo stesso modo gli studi sui matriarcati [Vedi ad esempio Benvenuti nel paese delle donne di Francesca Rosati Freeman, edizioni XL], riguardanti il passato ma soprattutto il presente, concretizzano l’idea che la ragione femminile progetta e realizza comunità altamente civili [Delle scoperte dell’Epigenetica e delle ricerche sulle società matriarcali esistenti mi occuperò approfonditamente in futuro. Ho voluto citarle qui perché confermano in pieno la Teoria del corpo pensante]. Tuttavia, nonostante l’inadeguatezza del sistema di pensiero maschile sia tangibile e le sue contraddizioni esplodano di continuo provocando danni talora irreparabili, nonostante le ricerche scientifiche e la stessa esperienza quotidiana conferiscano crescente valore alla razionalità femminile, le donne non si autorizzano ancora a riconoscere la loro centralità all’interno della specie. Solo da poco tempo la silenziosa rassegnazione della maggioranza delle donne di fronte alla prepotenza maschile è stata interrotta da pubbliche manifestazioni di indignazione. Fra tutte le istanze presentate, la richiesta di pari opportunità è la più pressante e condivisa, malgrado sia evidente che i sistemi sociali androcentrici, basati sullo sfruttamento e finalizzati al dominio, siano impossibilitati ad accoglierla. In tutto il mondo il pensiero femminile e femminista si esercita nel superamento delle laceranti dicotomie che costellano l’apparato concettuale dominante, criticandone aspetti singoli e pendolando da un polo all’altro, senza osare di riconoscerne l’intima, complessiva insensatezza. Per tutte le donne la razionalità della specie resta quella maschile; la loro massima aspirazione si riduce in genere alla complementarità, dovuta essenzialmente all’apporto di emozioni e sentimenti, considerati un valore aggiunto, non la fonte stessa del pensiero. Ferme al palo della moderazione, restano invischiate nel sistema cognitivo che, in tal modo, rafforzano. Lo sbocco delle riflessioni delle donne, invece, non può che essere la ricostruzione del loro punto di vista sul mondo che si avvale di categorie duttili, in grado di rispecchiare il reale nella sua concretezza, varietà e variabilità. La teoria del corpo pensante rende possibile l’impresa che al momento sembra piuttosto ardua. Avendo descritto i meccanismi mentali del pensiero unico e rivelato la loro origine e i nefasti effetti sul mondo dei viventi, indica la via da intraprendere per superarli, favorendo la definizione di un diverso paradigma interpretativo cui la cultura internazionale, ai suoi massimi livelli, aspira. Occorre solo che le donne rigettino in via definiva la falsa idea di essere figlie e mogli degli uomini e prendano consapevolmente atto di essere madri, artefici e custodi della vita della specie nei suoi molteplici aspetti.