Storia42
Da Ortosociale.
Indice |
Sardegna 2016 - Elezioni Amministrative
Si è appena concluso il primo turno delle elezioni amministrative di molti comuni sardi, tra cui Cagliari. Qui ha vinto al primo turno con il 51% un centrosinistra monolitico guidato da Zedda. Il Caso di Cagliari è anomalo. Perché è una grande città diversa dall'interno, dalle coste turistiche, dagli altri centri come Oristano, Nuoro, Sassari. Zedda che è di SEL è riuscito a tenere insieme tutta la sinistra da Rifonda al PD ed altri ancora, approfittando della crisi completa del PD, tuttora senza segretario regionale dopo la condanna di Renato Soru. Ha un approccio marketing oriented adatto ad una popolazione che a Cagliari vive di terziario (e di illusioni, come "Cagliari Capitale Mondiale della Cultura" o grandi eventi finanziati da grandi sponsor come Qatar, Russi, Cinesi, Unione Europea). La destra ex FI è in sfacelo e il tentativo di rimetterla in corsa è fallito: Zedda 51%; Massidda centrodx 32%; M5S 8%. Il contrario succede a Monserrato, alle porte di Cagliari dove il centrodx si compatta dietro un imprenditore vitivininicolo in testa col 38%. Qui il PD, che aveva da decenni l'egemonia locale, è frantumato in tre liste che si combattono: la prima 23%; la seconda 16%; la terza 9%. Insieme avrebbero fatto il 49%. A Monserrato il M5S è al 15%. Ovvio che qui il problema reale è il lavoro. Direi che la Sardegna conferma il quadro nazionale. Centrodx franato ( vedi Marchini a Roma ). Qualche tentativo di riproporre degli "imprenditori" à la Berlusconi o à la Soru. Sfaldamento del PD in faide di spartizione del potere e casi di malgoverno. Fragilitá del M5S visto come ultima spiaggia anticorruzione. Necessità di un progetto integrato economico-culturale, prima ancora che politico, basato sul corretto utilizzo del territorio. Dunque a Cagliari prevale il centrosx perchè stranamente rimane unito in un ideale terziario di turismo culturale, grandi eventi metropolitani, città metropolitana con a capo Zedda, eletto presidente della città metropolitana prima delle elezioni. A Monserrato (inglobato comunque nella città metropolitana di Cagliari) vince il vecchio modello dell'imprenditore ( vitivinicolo) del centrodx. Quanto questo possa rilanciare lo sviluppo, l'occupazione, è difficile immaginare. Ad Isili (provincia del Medio Campidano e Sud Sardegna e patria di Sara Pisci anima di Crastu) abbiamo un altro modello ancora che non è un modello bipartisan centrosx e centrodx, ma esattamente il suo contrario. Stanchi del totale immobilismo dei vari sindaci (centrosx e centrodx) gruppi di consiglieri di entrambi le fazioni hanno creato una lista civica basata su uno sviluppo locale (artigianato, allevamento, agricoltura, turismo, piccola industria) e soprattutto sui "servizi sociali", in primis il mantenimento dell'ospedale San Giuseppe dotato di sala operatoria che la Regione vorrebbe smantellare accentrando tutte le ASL in pochi centri. Questo è il modello virtuoso che si concentra sugli obiettivi. Stessa cosa a Villamar in Marmilla, dove il sindaco uscente, presidente ANCI della Sardegna, è stato clamorosamente sconfitto perchè "non ha fatto niente"; palazzi comunali in rovina etc.
Modello Isili
Questo è possibile in centri piccoli come Isili, Villamar, Monserrato (10.000 o 20.000 abitanti) dove si può vedere coi propri occhi se una amministrazione locale fa o non fa. Questo significa sul piano metodologico determinare la "scala" (grandezza) della autoorganizzazione locale. In parole semplici conviene agire con liste civiche locali in comuni piccoli (10.000 o 20.000 abitanti) e poi da lì diffondersi sul territorio tentando di dimostrare il valore di pratiche di successo basate su uno sviluppo economico e culturale legato al contesto territoriale. E non vincere a Roma (e forse Torino) come fa il M5S (senza un modello di sviluppo alternativo testato prima su "piccola scala"). In altre parole nelle elezioni amministrative va bene lanciare liste civiche su comuni di scala piccola o media, lasciando le grane dei grandi centri ai "partiti nazionali". Anzichè calare top/down con lo staff di Casaleggio che determina chi si candida e chi no, o con Grillo che sceglie a quale comizio andare determinando la quota di voti favorevoli. Va seguito il modello di Isili e Villamar bottom/up. Qualunque successo a Roma o Torino o Milano è un successo effimero, come è stato per Parma. Le grandi città non vanno servite nè politicamente, nè culturalmente, nè economicamente (rifornite di cibo, di energia, di esseri umani che lavorano per questo sistema alimentandolo ogni giorno). Che ognuno si produca il suo cibo e la sua energia, almeno in parte. Le grandi città vanno ridimensionate sviluppando le medie e le piccole, come Isili e Villamar. Invece di grandi centri metropolitani come quello che presiede Zedda, che è anche sindaco di Cagliari, e che comprende Pirri, Monserrato, Selargius, Quartu (100.000 abitanti) , Quartucciu, etc, è preferibile costruire una rete di centri minori con le loro risorse agroalimentari, energetiche, culturali. La sinistra post marxista in combutta con tutta la fuffa centrista-liberista va nella direzione della centralizzazione che è un fenomeno autoritario (Renzi). Ma hanno poche chance se gli mancano i rifornimenti di cibo, energia, risorse umane (autosufficienti). Su grande scala, su scala di stati nazionali o di federazioni come gli USA, lo scontro non è più tra repubblicani moderati e democratici liberal. Ma tra Trump e Sanders; secondo il Commento n.426 di Immanuel Wallerstein, che vede in Trump e Sanders la rivolta di masse enormi contro l'"establishment", indipendentemente dalla temporanea riuscita a bloccarli da parte dell'establishment rappresentato da Hilary Clinton e dal partito repubblicano. Tra la logica della concorrenza spietata del vinca il più forte e la logica della cooperazione empatica. Sono due strategie evolutive degli animali sociali, intraspecifiche e interspecifiche. La loro contrapposizione su due modelli astratti, il liberismo feroce di Trump ed il "socialismo" di Sanders, è dovuta ai lasciti della storia, alla cristallizzazione culturale del modello capitalista (individualista) e di quello socialista (statalista collettivo). Entrambi modelli falliti. Meglio il modello di Isili o Villamar nella loro concretezza decentralizzata e autoorganizzata che si basa su obiettivi condivisi dalla grande maggioranza, e che mescola in modo creativo cooperazione empatica e concorrenza individualista. La grande differenza rispetto ad oggi è che nel modello Isili sarebbe la cooperazione empatica, intraspecifica ma soprattutto interspecifica, a determinare l'equilibrio del modello, secondo le variegate ma ragionevoli indicazioni convergenti di: Ecologia Profonda, Ecofemminismo, Sociologia Storica, Ecologia Integrale: LETTERA ENCICLICA LAUDATO SI’ DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE, Biofilia, Bioregionalismo, Ambientalismo Pacifista, Amore per il Vivente, Scienza e Società - Un Approccio Sistemico
L'Unione Sarda
Il principale quotidiano sardo riporta in prima pagina un editoriale di Roberto Casu "Pd: Roma, Napoli e dintorni - I motivi di una sconfitta". Punzecchiato il povero Renzi con la frase: "...non basterà a ribaltare il piano inclinato su cui sta ruzzolando l'ormai ex partito della nazione trasformato nel giro di poche ore nel partito del rione", l'articolo prosegue con l'analisi del voto su scala nazionale, sostenendo che dove c'era lo zampino di Renzi i risultati erano negativi. Dove non c'era come a Cagliari (vittoria di Zedda al primo turno) i risultati erano positivi. Questo è ancora più evidente in Sardegna dove il PD ha raccolto una serie impressionante di sconfitte. Riconducibili alle fratture prodotte da Renzi e così puntualizzate: "Se sei il segretario del primo partito italiano della sinistra, non puoi pensare di cavalcare senza danni collaterali la retorica di un efficientismo decisionista craxiano. Non puoi governare impunemente a colpi di fiducia alla Camera e con i voti di Verdini al Senato. Non puoi riformare la scuola senza gli insegnanti e lo Statuto dei lavoratori senza i lavoratori. Non puoi raccontare agli italiani un Paese che non esiste, una ripresa economica che non c'è, i posti di lavoro che non arrivano. Si può negare la realtà dei fatti per qualche tempo. Ma alla fine è la realtà che vince".
I poteri forti italiani
Chi ha deciso di mandare Renzi allo sbaraglio? Chi in Italia è in grado di "decidere" a quale leadership politica e personale affidare il paese? Probabilmente è un sistema decisionale complesso, che controlla istituzioni nazionali, gran parte delle istituzioni locali, organi di informazione, centri di ricerca, collegamenti con UE e USA, il complesso sottosistema dell'economia pubblica e privata. Ma osserviamo le sue mosse concitate: dismissione di Prodi, lancio e caduta di Berlusconi (un vero e proprio "colpo di stato" organizzato da Napolitano con le elites di cui stiamo parlando), poi in rapida sequenza (a pochi mesi l'uno dall'altro) Monti, Letta, Renzi. Ciascuno messo da parte come un burattino cui vengano tolti i fili. Renzi è l'ultimo attore sulla scena. Il suo decisionismo "craxiano" come lo definisce "L'Unione Sarda" è solo la misura dell'affanno di queste élites. Quando non si sa che pesci pigliare si ricorre alla forza ed alla intimidazione, alla trasparenza delle proprie intenzioni autoritarie di sfruttamento. E qui il re è nudo, con conseguenze incalcolabili. Questo spiega la perdita di fiducia delle masse nella "politica", meglio, nelle élites economiche, politiche, militari, ideologiche, che hanno costantemente manovrato questa "politica". Possono pensare queste élites di proseguire nel loro tortuoso cammino senza rivederne in senso critico il tracciato remoto, antico, passato, senza rivederne soprattutto l'impossibile futuro.
Il Modello
Quello che le élites possono fare, e lo possono fare tranquillamente, è cercare di ritrovare una base comune di fiducia (trust) con le multiformi e variopinte identità sociali con cui interagiscono. Tentare vie di accordo, di scambio reciproco, di coesistenza, di spazi di libertà reciproci, senza barare. Il Modello è quello del decentramento e della autorganizzazione. Il Modello da battere è quello del centralismo imperiale dove le élites periferiche perdono la loro autonomia e si riducono a proxie di super-élites planetarie che le mettono in trincea contro i loro stessi popoli di appartenenza. Non credo che le élites locali perderbbero "potere" in questo modo. Probabilmente ne acquisirebbero, di "potere" reale. Garantire cibo sano, lavoro, sviluppo dell'infanzia, salute, crescita culturale a chiunque voglia collaborare al progresso dell'umanità, è impossibile? Io mi auguro che gradualmente le élites spariscano, ma non mi sogno di fare impossibili proiezioni. Intanto coesistiamo nel migliore dei modi garantendoci la sopravvivenza comune.